Il giudizio di rinvio ha un orizzonte cognitivo circoscritto dal contenuto e dalla portata del giudizio rescindente. Esula, pertanto, dai poteri del giudice del rinvio l’estensione della propria cognizione a questioni estranee al perimetro tracciato dalla Corte di Cassazione, anche se additate dalle risultanze di ulteriori accertamenti esperiti nello stesso giudizio di rinvio.
Sulla scorta di detto principio, la Corte di Cassazione ha accolto le doglianze di un imputato, in una controversia ove la pronuncia d’appello, originariamente impugnata, era stata annullata con riferimento all'omessa applicazione dell’attenuante ex art. 648 bis comma 3 c.p.
D'altronde la correttezza della qualificazione giuridica del reato presupposto del riciclaggio (appropriazione indebita e non bancarotta, in una casistica ove il manager aveva rifinanziato l’aumento di capitale sociale di una società a lui facente capo, con somme di denaro provenienti da conti correnti di terzi, che faceva transitare senza alcuna causale sui propri conti personali) - precisano gli ermellini - è stata espressamente confermata nella sentenza rescindente. Nella stessa si dava infatti atto di come la bancarotta fraudolenta per distrazione, in ambito societario, è figura di reato complessa, che comprende, tra i propri elementi costitutivi, una condotta di appropriazione indebita del bene distratto, punibile ex sé ai sensi dell’art. 646 c.p.
Si tratta dunque di questione già decisa nell’ambito del giudizio di legittimità, che, conseguentemente, non avrebbe più potuto essere messa in discussione dal giudice del rinvio.
Sicché quest’ultimo – conclude la Corte con sentenza n. 38214 del 14 settembre 2016 – ha illegittimamente dilatato l’ambito della propria disamina affrontando una questione che gli era preclusa; ossia la qualificazione del reato presupposto, dovendo piuttosto limitarsi a trattare la problematica relativa al trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al quantum della riduzione di pena.
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