Corte Costituzionale: nel giudizio abbreviato, la rinuncia all’impugnazione della condanna può consentire al giudice dell’esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziale se, grazie alla riduzione prevista dalla riforma Cartabia, la pena scende sotto i due anni.
Con sentenza n. 208 del 19 dicembre 2024, la Consulta si è pronunciata su una questione di legittimità costituzionale riguardante il regime della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, in relazione alle modifiche introdotte dalla cosiddetta "riforma Cartabia" in tema di giudizio abbreviato.
La questione era stata sollevata nell'ambito di un caso in cui una persona, condannata a due anni e quattro mesi di reclusione in seguito a un giudizio abbreviato, aveva ottenuto una riduzione della pena a un anno, undici mesi e dieci giorni rinunciando all’impugnazione, come previsto dalla riforma.
Tuttavia, nonostante la riduzione portasse la pena al di sotto della soglia dei due anni, il giudice dell’esecuzione non disponeva esplicitamente del potere di concedere i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Questa lacuna normativa ha spinto il Giudice per l'Udienza Preliminare a sottoporre la questione alla Corte Costituzionale, sostenendo che l’assenza di una previsione esplicita fosse in contrasto con il principio di uguaglianza e con la finalità rieducativa della pena sanciti dalla Costituzione.
Ebbene, secondo la Corte Costituzionale, il giudice dell’esecuzione deve poter valutare la concessione di tali benefici quando la pena da eseguire, a seguito della riduzione prevista dalla riforma, non supera i due anni.
Nella sua pronuncia, la Corte ha posto l’accento sulla finalità rieducativa della pena, sottolineando che la sospensione condizionale rappresenta uno strumento essenziale per prevenire gli effetti negativi delle pene detentive brevi, come la desocializzazione e l’aumento del rischio di recidiva.
Ha inoltre evidenziato che tale beneficio è concepito per favorire la risocializzazione del condannato attraverso l’adempimento di obblighi riparatori e per prevenire la commissione di nuovi reati, grazie alla minaccia di una possibile revoca.
Per la Corte, la possibilità di accedere a questi benefici deve essere garantita anche nei casi in cui la determinazione della pena sia il risultato di una scelta processuale volontaria, come la rinuncia all’impugnazione, che contribuisce al funzionamento più rapido ed efficiente del sistema penale.
Infine, la Corte ha ritenuto necessario intervenire per assicurare la certezza del diritto, data l’esistenza di interpretazioni divergenti nella giurisprudenza di merito e di legittimità.
Pur riconoscendo che una lettura costituzionalmente orientata della normativa vigente avrebbe potuto consentire già al giudice dell’esecuzione di concedere i benefici, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima la mancanza di una previsione esplicita che attribuisca tale potere.
In conclusione, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di due disposizioni del codice di procedura penale (art. 442, comma 2-bis, e art. 676, comma 3-bis) nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione possa concedere i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
La pronuncia riguarda i casi in cui il giudice della cognizione non abbia potuto disporre tali benefici perché la pena, al momento della pronuncia, superava i limiti previsti dalla legge per la loro concessione.
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