Giudice cautelare boccia il rifiuto delle cure. Impugnazione in Corte d’appello

Pubblicato il 08 giugno 2017

Nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte d’Appello ex art. 720 bis c.p.c., avverso il provvedimento con cui il Giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione, proposta dall'amministratore, ad esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione di cure mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria, in quanto va ad incidere su diritti soggettivi personalissimi.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell’ambito di una vicenda ove il Giudice tutelare aveva rigettato l’istanza della moglie - amministratrice di sostegno del marito gravemente malato - volta a negare il consenso (per ragioni religiose) alla sottoposizione dell’uomo a cure che prevedessero la trasfusione di emoderivati. La Corte d’appello, chiamata a decidere avverso il provvedimento di rigetto del Giudice tutelare, si era dichiarata incompetente, asserendo la natura gestoria (e non decisoria) del decreto impugnato; il che ne avrebbe determinato, semmai, la reclamabilità al Tribunale in composizione collegiale. Di tal ché i giudici dell’appello non erano entrati nel merito della questione - sulla quale la reclamante chiedeva pronunciarsi – ossia la validità e vincolatività delle direttive anticipate dal marito, nel frattempo deceduto, relative alle cure mediche da non potersi effettuare.

Rigetto del Giudice tutelare, natura decisoria

Di contrario avviso la Corte Suprema, secondo cui, viceversa, l’anzidetto provvedimento di rigetto da parte del Giudice tutelare ben può essere ritenuto decisorio e dunque reclamabile in Corte d’Appello. Occorre a tal proposito rilevare che il decreto con cui è stata rigettata l’istanza della moglie, è lo stesso con cui il Giudice tutelare ha disposto l’apertura dell’amministrazione di sostegno. Per cui l’apertura, la designazione e l’istanza volta a far valere le direttive sopra indicate – riguardanti l’esercizio di diritti fondamentali quali l’autodeterminazione nelle scelte sanitarie ed il rispetto delle convenzioni religiose - sono inscindibilmente legati ed hanno senz'altro natura decisoria, stante il rango dei diritti “personalissimi” implicati. La Corte d’appello pertanto – conclude la Corte con sentenza n. 14158 del 7 giugno 2017 - non avrebbe dovuto negare la propria competenza a conoscere della questione.

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