La condotta del calciatore, diretta a colpire il pallone in un frangente di gioco particolarmente intenso, e con cui il medesimo, mal calcolando la tempistica, invece di colpire la palla, finisca per impattare violentemente con la gamba dell’avversario, appare meritevole di censura all’interno dell’ordinamento sportivo.
La stessa, tuttavia, non può certamente sconfinare oltre il perimetro coperto dalla scriminante dell’accettazione del rischio consentito nell’ipotesi in cui, dallo scontro, siano derivate lesioni all’avversario.
Sulla scorta di queste considerazioni la Corte di cassazione, con la sentenza n. 9559 dell’8 marzo 2016, ha annullato, senza rinvio, la condanna per lesioni personali colpose irrogata da parte del Giudice di pace nei confronti di un calciatore.
Questi, nel corso di una partita di calcio di campionato, serie “eccellenza”, ed al fine di interrompere l’azione di gioco avviata da un giocatore della parte avversa, aveva colpito con violenza la gamba di quest’ultimo, causandogli la frattura della tibia sinistra.
La Suprema corte, dopo un’ampia disamina sui confini applicativi della scriminante invocata dall’imputato, ha ritenuto che l’atto posto in essere dal giocatore di calcio era stato, nella specie, manifestamente indirizzato a interrompere l’azione di contropiede avversaria, mediante il tentativo di impossessarsi regolarmente della sfera.
Per la Corte, in definitiva, il giudice di merito avrebbe dovuto concludere per l’insussistenza dell’antigiuridicità del fatto, visto l’operare della citata scriminante nell’ambito dell’attività sportiva.
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