Si è già trattato, in Edicola, della posizione del c.d. “buffer” (“filtro”) nelle “frodi carosello”, in materia di Imposta sul valore aggiunto. Egli può non essere consapevole della filiera frodatoria. Se lo è - avendo accettato dolosamente di concorrere alla vicenda criminale, dal momento che si è prestato ad acquisto e rivendita dei prodotti a prezzi abbassati (con connessa concorrenza sleale a danno dei commercianti regolari), in accordo con gli altri partecipi, e ne ha ricevuto adeguato compenso attraverso la spartizione dell’imposta non versata - gli verrà contestato il delitto di associazione per delinquere (articolo 416 del Codice penale) finalizzato alla commissione di reati tributari. O quello di emissione di fatture false, ex articolo 8 del decreto legislativo 74/2000, ed utilizzazione in dichiarazione, ex articolo 2 del medesimo Dlgs.
Non è, diversamente, dovuta l’imposta dal “filtro” che si é inconsapevolmente trovato nella serie di passaggi finalizzati al mancato pagamento dell’Iva.
E’, dunque, scontato che la dimostrazione della partecipazione consapevole debba rispondere, penalmente, a criteri rigorosi, onde non è sufficiente che il “buffer” abbia emesso o contabilizzato e dichiarato costi relativi a beni che in realtà sono passati effettivamente nelle sue mani (ancorché senza entrare materialmente nel suo deposito).
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