Qualora il lavoratore intenda chiedere il TFR al Fondo di garanzia istituito presso l’INPS, in quanto la società è insolvente, l’azione esecutiva deve essere rivolta sia nei confronti della società sia nei confronti dei soci accomandatari. Questo perché i soci accomandatari sono illimitatamente responsabili per i debiti societari. La cessazione della qualifica di accomandatario, infatti, non comporta il venir meno della responsabilità per i debiti contratti nel periodo di partecipazione all’ente. Con la conseguenza che il creditore è tenuto a verificare in ogni caso la mancanza o l’insufficienza della garanzia del patrimonio dell’imprenditore.
A chiarirlo è la sesta sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 23591/21 del 31 agosto che ha respinto il ricorso degli eredi di un lavoratore.
Il Fondo di garanzia, istituito presso l’INPS con la L. n. 297/1982, in attuazione della Direttiva 80/987, concernente la tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, poi modificata dalla Direttiva 2002/74/CE recepita dal D.Lgs. n. 2005 – ha come finalità quella di garantire ai lavoratori il pagamento del TFR, oltre che delle ultime tre mensilità, in sostituzione del datore di lavoro insolvente.
Affinché il predetto Fondo intervenga è necessaria l’esistenza:
Da notare che lo stato di insolvenza deve risultare o dall’apertura di fallimento o di altra procedura concorsuale o, per i datori non assoggettabili a procedura concorsuale, dall’infruttuoso esperimento di una procedura di esecuzione forzata finalizzata alla soddisfazione del credito del lavoratore, come disposto dal co. 5 dell’art. 2 della L. n. 297/1982.
Partendo dal presupposto che il creditore è tenuto a verificare in ogni caso la mancanza o l’insufficienza della garanzia del patrimonio dell’imprenditore, nel caso di specie la Corte d’Appello aveva rigettato la domanda del lavoratore diretta a ottenere la condanna dell'lNPS quale gestore del Fondo di garanzia, al pagamento del TFR maturato dal loro dante causa per il lavoro svolto alle dipendenze di una Sas.
La Corte territoriale ha dato atto che il lavoratore aveva ottenuto l'accertamento del credito con decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione sulla base di un verbale di pignoramento negativo. Il lavoratore aveva poi proposto ricorso per fallimento che però era stato dichiarato improcedibile perché l’attività era risultata cessata per trasferimento all’estero. Il collegio ha però respinto la domanda rilevando che non risultava esperito un serio tentativo di esecuzione forzata nei confronti del socio accomandatario.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso del lavoratore, ha affermato che la parte ricorrente si è limitata ad argomentare, a favore della propria ordinaria diligenza, il fatto di avere agito in via esecutiva nei confronti della società presso la sede legale che, all'epoca del tentato pignoramento, non solo era chiusa ma era anche coincidente con la residenza del nuovo socio accomandatario.
Dunque, il creditore è tenuto a esperire tutte le azioni che, secondo l'ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose, mentre non è tenuto a esperire quelle che appaiano infruttuose o aleatorie, allorquando i loro costi certi si palesino superiori ai benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità.
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