Fatture false, non sempre reato per l’emittente

Pubblicato il 04 dicembre 2014 La Corte di cassazione, con la sentenza n. 50628 del 3 dicembre 2014, della Terza Sezione penale, restringe l’ambito di applicazione del reato penalmente rilevante, di cui all’articolo 8 del Decreto legislativo n. 74 del 2000 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), ai soli casi di consegna dei documenti fiscali falsi. Al contrario, il reato non si configura nel caso in cui il documento fiscale falso sia stato formato dal terzo che lo ha ricevuto “in bianco” dall’emittente.

Con tale pronuncia, dunque, viene accolto il ricorso di un piccolo imprenditore accusato di avere semplicemente consegnato a terzi dei “bollettari” per l’emissione delle fatture che riportavano solamente la partita IVA e il timbro con la ragione sociale.

Mancando gli altri elementi formali previsti dall’articolo 21 del decreto IVA per far ritenere la fattura formata - secondo la Suprema Corte - il fatto contestato non può essere riconducibile nelle fattispecie penale citata.

Una fattura mancante dei requisiti di legge non può essere qualificata come “emessa”. Piuttosto, è il terzo, che ha ricevuto il documento in bianco, che ha formato la fattura falsa.

Dunque, vi sono gli estremi per l’individuazione di un diverso reato tributario: per la Corte non è tanto la condotta di “emissione” di fatture false che deve essere punita, quanto la “formazione” di eventuali fatture false da parte di un soggetto diverso dall’emittente.

Da qui, la conclusione che chi commette il falso materiale non è punibile ex articolo 8 del Dlgs n. 74/2000, ma risponde del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex articolo 2 Dlgs 74/2000), configurabile nel caso di utilizzazione di fatture o documenti sia ideologicamente che materialmente falsi.
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