E’ stata depositata la sentenza con cui le Sezioni unite penali di Cassazione hanno superato il contrasto interpretativo emerso in seno al collegio di legittimità in tema di false comunicazioni sociali e, in particolare, in ordine all’attuale rilevanza o meno del falso valutativo, alla luce della riforma di cui alla Legge n. 69/2015 e alla nuova formulazione dell’articolo 2622 del Codice civile.
In particolare, è stato affermato il principio di diritto secondo cui il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, deve ritenersi integrato nel caso in cui, in presenza di criteri valutativi normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente si discosti da tali criteri consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo a indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.
Nella decisione, la Suprema corte evidenzia dapprima i termini in cui il contrasto in oggetto si era manifestato. Così, da un lato, viene fatto riferimento alle pronunce n. 33774/2015 e n. 6916/2016 della Quinta Sezione di Cassazione, affermative di un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie, e, dall’altro, alla sentenza n. 890/2016 secondo cui il falso valutativo sarebbe, tuttora, penalmente rilevante.
A seguire, il massimo Collegio di legittimità opera un excursus sulla “stratificazione normativa” che, nel corso degli anni, ha connotato la fattispecie del falso in bilancio, concentrando, in particolare, l’attenzione sull’adozione della formula verbale utilizzata per descrivere l’oggetto della condotta di falsificazione, e sulla considerazione che la ratio della norma è, riconoscibilmente, la tutela della veridicità, quanto della completezza dell’informazione societaria.
Ritenendo, poi, non sufficiente, per una corretta interpretazione della norma, una lettura che si arresti al solo involucro verbale e lessicale della disposizione, il giudici di legittimità sostengono la necessità di soffermarsi sul complessivo impianto dell’assetto societario disegnato nel Codice civile, in una visione logico-sistematica della materia, fino a giungere a tale conclusione: “sterilizzare il bilancio con riferimento al suo contenuto valutativo significherebbe negarne la funzione e stravolgerne la natura.
Da qui la conclusione dell’irrilevanza della soppressione, nella nuova formulazione della disposizione relativa al falso in bilancio, dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”.
Chiarito ciò – si legge nel testo della decisione – appare evidente la fallacia della opzione ermeneutica che intende contrapporre i fatti materiali, da esporsi in bilancio, alle valutazioni che altresì appaiono, in quanto un bilancio non contiene “fatti”, ma il “racconto” di tali fatti: un fatto, ossia, per quanto materiale, deve comunque, per trovare collocazione in un bilancio, essere raccontato in unità monetarie e, dunque “valutato”.
Si rammenta che la notizia della decisione delle Sezioni Unite penali – n. 22474 del 27 maggio 2016 - era stata già anticipata dall’Ufficio stampa della Cassazione con informazione provvisoria n. 7 del 31 marzo 2016.
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