Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione si sono pronunciate in ordine all’individuazione del dies a quo del termine di decadenza per riassumere il processo che sia stato interrotto ai sensi dell'art. 43 comma 3 Legge Fallimentare, ossia a seguito di apertura del fallimento di una delle parti in causa.
Era stata la Prima sezione civile della Corte di legittimità a sollevare apposito quesito dopo aver rilevato l’esistenza di difformi pronunce sulla portata di una serie di eventi integranti la conoscenza, in capo alla parte non colpita da procedura concorsuale, dell'intervenuto fallimento.
Nella relativa ordinanza di rimessione, era stata altresì sottolineata l'esigenza di una ricognizione dell'istituto ampliata, per simmetria, anche all'ipotesi in cui si tratti di individuare quali atti o fatti siano idonei a concretizzare il dies a quo laddove la prosecuzione del giudizio investa l'iniziativa del curatore fallimentare.
Con sentenza n. 12154 del 7 maggio 2021, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto interpretativo esistente, enunciando apposito principio di diritto.
Hanno così sottolineato che, in caso di apertura del fallimento, ferma l’automatica interruzione del processo che ne deriva ai sensi del menzionato art. 43, comma 3, Legge fallimentare, il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità per le domande di credito, decorre da quando la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte.
Tale dichiarazione, qualora già non conosciuta nei casi di pronuncia in udienza, va direttamente notificata alle parti o al curatore da ogni altro interessato ovvero comunicata - ai predetti fini - anche dall’ufficio giudiziario, “potendo inoltre il giudice pronunciarla altresì d’ufficio, allorché gli risulti, in qualunque modo, l’avvenuta dichiarazione di fallimento medesima”.
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