La Corte di Cassazione, prima sezione civile, conferma le riduzione dell’assegno di mantenimento a favore della moglie separata – ed a carico del marito imprenditore, che accusa una contrazione dei propri guadagni – nonostante la donna lamenti che, in tal modo, non è più in grado di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Confermata dunque la pronuncia di secondo grado, che la moglie aveva impugnato poiché, a suo dire, i giudici del gravame avevano omesso di valutare le “potenzialità economiche” delle parti, specie del marito, il cui stile di vita era evidente indice di redditi percepiti ben superiori a quelli dichiarati dalla propria attività professionale. In ogni caso – sempre a detta della ricorrente – la Corte di merito aveva errato attribuendole un assegno tanto modesto, da non consentirle affatto di mantenere lo stesso tenore goduto nel corso del matrimonio.
Tuttavia la pronuncia impugnata appare - secondo la Corte Suprema – sotto ogni profilo incensurabile. Innanzitutto perché la valutazione comparativa dei redditi e delle condizioni economiche dei coniugi è accertamento di fatto che compete in via esclusiva al giudice di merito. Oltretutto, nel caso di specie, la Corte d’Appello ha spiegato con chiarezza le proprie fonti di convincimento, dando atto, tra l’altro, delle incomplete allegazioni documentali fornite dal marito e del necessario ricorso alle movimentazioni del suo conto corrente (non apparendo verosimile il tenore di vita e la disponibilità di una pluralità di beni immobili con i modesti profitti imprenditoriali dichiarati).
I vari “non dichiarati” accrediti sul conto corrente dell’ex e l’acquisto di un appartamento senza necessità di prendere un mutuo, sono tutti elementi che la Corte di merito ha comunque posto a fondamento della propria decisione, deducendone che le condizioni patrimoniali dei coniugi erano, allo stato degli atti, evidentemente diverse: ben più florida quella dell’uomo, assai più modesta quella della donna. Ciò che ha portato al riconoscimento dell’assegno nei confronti di quest’ultima, ma in misura ridotta rispetto a quanto statuito in primo grado. Non conta, difatti, che non siano stati valorizzati tutti i singoli elementi forniti in giudizio onde attestare la maggiore capacità reddituale dell’uomo rispetto al dichiarato, poiché il giudice di merito – rammentano gli Ermellini con sentenza 16190 del 28 giugno 2017 – non ha necessariamente l’onere di accertare i redditi delle parti nel loro preciso ammontare, essendo a tal fine sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali.
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