Nel caso in cui a uno Stato membro venga presentata domanda di estradizione di un cittadino dell’Unione europea avente la cittadinanza di un altro Stato membro da parte di uno Stato terzo con il quale il primo Stato abbia concluso un accordo di estradizione, esso è tenuto a informare lo Stato membro del quale il predetto è cittadino e, se del caso, su domanda di quest’ultimo Stato membro, a consegnargli tale cittadino.
Ciò, conformemente alle disposizioni sul mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Paesi membri, purché detto Stato membro sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire tale persona per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale.
Inoltre, se a un Paese membro venga presentata una domanda di uno Stato terzo diretta a ottenere l’estradizione di un cittadino di un altro Stato membro, il primo Stato membro è tenuto, comunque, a verificare che l’estradizione non recherà pregiudizio ai diritti di cui all’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In particolare, quando l’autorità competente dello Stato a cui sia giunta la richiesta di estradizione disponga di elementi attestanti un rischio concreto di trattamento inumano o degradante delle persone nel Paese terzo richiedente, la stessa deve valutare la sussistenza di tale rischio al momento di decidere in ordine all’estradizione in tale Stato.
E’ questa l’interpretazione che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha inteso fornire con riferimento agli articoli 18 e 21 TFUE nel testo della sentenza del 6 settembre 2016 pronunciata nell'ambito della causa C-182/15.
La controversia sottoposta all’esame dei giudici europei prende le mosse da una domanda di estradizione che era stata rivolta dalle autorità russe alle autorità lettoni e riguardante un cittadino estone accusato di traffico di stupefacenti.
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