L’imprenditore che non versa le tasse a causa dell’errore compiuto dal proprio commercialista non incorre nel reato di evasione fiscale: non è sufficiente, per condannare l’amministratore della società per evasione fiscale, il fatto che lo stesso fosse a conoscenza della “disordinata tenuta della contabilità”, è necessario anche che l’imprenditore fosse consapevole delle indebite compensazioni effettuate.
Lo sancisce la Corte di Cassazione – III Sezione penale – nella sentenza n. 26236 depositata l’8 giugno 2018.
La Suprema Corte, infatti, accoglie il ricorso presentato dall’amministratore delegato di una Srl, che era stato condannato dalla Corte di Appello per indebita compensazione di imposte avvenuta per alcune distrazioni del commercialista nella registrazione delle fatture. Per la Corte di secondo grado, era configurabile il dolo eventuale, perché il ricorrente era a conoscenza della “disordinata” gestione dei conti da parte del professionista che lo seguiva, tanto che lo stesso era stato poi revocato dal mandato.
Nella sentenza n. 26236/2018, si evidenziano alcune contraddizioni emerse nella decisione di merito: infatti, non si comprende come, da una condotta colposa del professionista, si sia fatto derivare il dolo del cliente.
Per la Corte di Cassazione la mera colpa del professionista non può provare in alcun modo il dolo del contribuente.
Dal punto di vista soggettivo, infatti, il reato di indebita compensazione contestato all’amministratore delegato richiede il dolo generico, che si realizza quando l’agente ometta il versamento delle somme dovute in maniera deliberata.
Nel caso di specie, invece, l'imprenditore si dichiarava non a conoscenza della situazione, tanto che nel momento in cui lo stesso è venuto a sapere dei fatti ha revocato il commercialista e ha fatto ricorso alla Commissione tributaria.
Dunque – conclude la Corte – non può essere accusato di evasione fiscale l’imprenditore che non ha versato le imposte a causa dell’errore commesso dal commercialista.
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