In tema di equa riparazione, il rinvio dell'udienza, pur se disposto su istanza di parte presentata in vista dell'esercizio di una facoltà processuale, non rende automaticamente non computabile ex Legge 81/2001, il lasso di tempo intermedio di dilazione, qualunque esso sia.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con sentenza n. 22764 depositata il 6 novembre 2015, accogliendo il ricorso di un soggetto, avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello aveva rigettato la sua domanda di equa riparazione in relazione ad un procedimento penale durato quasi otto anni.
La Cassazione, in particolare, ha censurato il ragionamento della Corte distrettuale, ove dalla circostanza per cui l'imputato - avvalendosi della facoltà di cui all'art. 5 L. 134/2003- non aveva poi presentato l'istanza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p, ha tratto la conseguenza per cui l'intero lasso temporale durante il quale il processo era rimasto sospeso a tale fine, avrebbe dovuto sottrarsi alla durata eccedente indennizzabile.
Il che – a detta degli ermellini – non corrisponde al vero, se solo si consideri che, sebbene l'art. 5 della citata legge preveda che la sospensione del dibattimento non sia inferiore a 45 giorni, non per questo autorizza la fissazione di qualsivoglia termine maggiore o giustifica l'intera dilazione che ne sia seguita.
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