Corte costituzionale: no a istanza di accelerazione a cui subordinare la domanda di equa riparazione per la eccessiva durata del processo penale.
La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quinquies, lettera e), della cosiddetta Legge Pinto, nel testo introdotto dall’art. 55, comma 1, lettera a), n. 2, del Decreto-legge n. 83/2012, ovvero nel testo vigente ratione temporis ove si stabilisce che non è riconosciuto alcun indennizzo quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini.
Nella sentenza n. 169 del 10 luglio 2019, i giudici costituzionali hanno ritenuto fondate le questioni di legittimità della disposizione indicata, riscontrando il contrasto della medesima con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 CEDU.
In particolare, hanno richiamato la recente sentenza n. 34/2019, con cui la medesima Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma analoga che, con riferimento al processo amministrativo, a sua volta prevedeva che la mancata presentazione della “istanza di prelievo” costituisse motivo di improponibilità della domanda di indennizzo ex “legge Pinto”.
Le stesse considerazioni - si legge nella odierna decisione - “valgono ora per l’istanza di accelerazione del processo penale”.
La suddetta istanza, non diversamente dall’istanza di prelievo nel processo amministrativo, “non costituisce infatti un adempimento necessario ma una mera facoltà dell’imputato e non ha – ciò che è comunque di per sé decisivo − efficacia effettivamente acceleratoria del processo”.
Ne discende che la mancata presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo presupposto può eventualmente assumere rilievo ai fini della determinazione del quantum dell’indennizzo ex Legge n. 89/2001, “ma non può condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda, senza con ciò venire in contrasto con l’esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, e con il diritto ad un ricorso effettivo, garantiti dagli evocati parametri convenzionali, la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117, primo comma, Cost.”.
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