Con sentenza n. 43 del 19 marzo 2024, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 103, comma 10, lettera c), del Decreto legge n. 34/2020, nella parte in cui include fra i reati che comportano l’automatica esclusione dalla procedura di emersione del lavoro irregolare la previa condanna per il cosiddetto piccolo spaccio.
La Corte si è così pronunciata sulle questioni di legittimità della norma sollevate dal Tar Piemonte, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU
Secondo il giudice rimettente, in particolare, era errato che, nel raggio applicativo della disposizione in esame, fosse stato ricompreso anche il reato di piccolo spaccio.
I rilievi sono stati giudicati fondati dalla Corte costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., rimanendo assorbita la censura concernente le ulteriori violazioni rilevate.
Rispetto al richiamato reato di cui all’art. 73, comma 5, del DPR n. 309/1990, la Consulta ha evidenziato come il legislatore abbia disegnato la fattispecie con tratti di ridotta offensività, ponendola a distanza dalle altre fattispecie di reato inerenti agli stupefacenti.
Il piccolo spaccio - si legge nella decisione - è un illecito di ridotta offensività che rientra anche fra i reati per i quali opera l’arresto facoltativo in flagranza, ossia la regola utilizzata dallo stesso legislatore per richiamare reati di minore gravità, ai quali non è applicato il citato automatismo.
Al reato di piccolo spaccio, in altri termini, si applica proprio quella disciplina di cui si avvale l’art. 103, comma 10, lettera d), per attrarre i reati rispetto ai quali l’avvenuta condanna può essere adottata solo come indice di pericolosità da accertare in concreto, e non da presumere in astratto.
Il reato in esame, infatti, sia per come concepito, sia per come si rapporta all’indice di pericolosità connesso all’arresto in flagranza, denota una limitata offensività che contrasta in maniera sensibile con la presunzione assoluta di pericolosità contenuta nella norma censurata.
Tanto più in quanto essa comporta l’automatica esclusione da procedure che consentono di addivenire alla regolarizzazione del rapporto di lavoro o alla stipula del contratto di lavoro.
La disposizione censurata, quindi, associa alla condanna per un reato di lieve entità una presunzione assoluta di pericolosità che inibisce la possibilità stessa di verificare in concreto se lo straniero continui o meno a rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza, al momento in cui viene presentata l’istanza di accesso alle procedure di emersione.
Il tutto contraddice l’id quod plerumque accidit.
Rispetto a un reato di ridotta offensività, la non pericolosità attuale di chi in passato ha subito per tale reato una condanna può ben desumersi da una combinazione di indici che - come rilevato dalla stessa Consulta in precedenti decisioni - tengano conto:
E ben può accadere, difatti, che il lavoratore straniero precedentemente condannato per piccolo spaccio, tenuto conto di tutti i richiamati indici, non rappresenti più un pericolo attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza.
La presunzione assoluta in parola, dunque, appare manifestamente irragionevole in quanto determina l’automatica esclusione dalle procedure di cui all’art. 103, commi 1 e 2, di cittadini stranieri che, attraverso l’emersione del lavoro irregolare e la stipula di contratti di lavoro, possono acquisire tutti i diritti riconosciuti al lavoratore dal nostro ordinamento.
Senza contare che l’automatismo previsto per il reato di piccolo spaccio contrasta altresì con il principio di proporzionalità, in quanto inibisce l’accesso alle procedure di emersione del lavoro irregolare e di stipula di contratti di lavoro, laddove, in concreto, può non sussistere alcuna minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza.
Questo automatismo, peraltro, risulta incoerente rispetto alla stessa finalità della legge introdotta nel corso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, ispirata all’istanza di favorire l’integrazione lavorativa e sociale di persone che, in quel contesto, avevano contribuito, con il proprio lavoro, ad apportare significativi benefici alla comunità dei consociati.
In definitiva, l’estromissione assoluta di chi sia stato condannato per il piccolo spaccio dalle procedure di emersione e di conclusione di contratti di lavoro - stante la ridotta gravità di tale reato - esorbita dallo scopo di negare l’accesso a chi si dimostri una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza.
Del resto, basterebbe, a tal fine, consentire un accertamento in concreto della pericolosità, come quello previsto dal medesimo art. 103, comma 10, lettera d), che considera la condanna per i reati meno gravi - quelli di cui all’art. 381 del Codice di procedura penale - come indice di pericolosità dello straniero da porre a base di un accertamento da effettuare in concreto e non da postulare in astratto.
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