Il delitto di violenza privata si consuma ogni qual volta l'autore, con violenza e minaccia, lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa.
E quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 40356 depositata l'8 ottobre 2015, nel respingere il ricorso di un imputato avverso la sua condanna per i reati di illecito trattamento dei dati personali e violenza privata continuata in danno di una donna.
Il ricorrente contestava, in particolare, l'insussistenza degli elementi costitutivi del reato di violenza privata, non avendo la Corte territoriale dato adeguata motivazione circa il presunto condizionamento psicologico della vittima.
La Cassazione tuttavia – condividendo l'argomentazione dei giudici di merito - ha ravvisato l'atteggiamento minaccioso da parte dell'imputato (idoneo dunque ad integrare violenza privata) consistente, nella fattispecie, nell'aver costretto la ragazza ad intrattenere rapporti telematici, prospettandole la possibilità di divulgare un video, tramite You tube, in cui essa compariva con la gonna sollevata.
Il ricorrente dunque, approfittando della disponibilità del video e minacciandone la pubblicazione – ha indotto la donna ad intrattenere comunicazioni con lui, così coartandone la capacità di autodeterminazione.
Respinta anche l'ulteriore censura, volta a negare, nella fattispecie, l'esistenza di un nocumento per la vittima, derivante dalla effettiva pubblicazione del video su You tube (cosi' confermando anche il reato di illecito trattamento dei dati personali ex art. 167 D.lgs. 196/2003).
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