Distacco legittimo anche in caso di interesse solidaristico

Pubblicato il 15 settembre 2020

Con la sentenza 11 settembre 2020, n. 18959, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in materia di distacco ed, in particolare, sulla fattispecie prevista dall'art. 30, comma 3, Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, relativamente al concetto di incremento della polivalenza professionale del lavoratore, in un contesto di crisi aziendale temporanea, nell'attesa della ripresa produttiva, al fine di non disperdere il patrimonio professionale di ciascun dipendente.

Ai sensi dell'art. 30, Decreto Legislativo 10 settembre 2003, l'istituto del distacco si realizza quando un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto (c.d. distaccatario) per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Come noto, i requisiti di legittimità del distacco sono la temporaneità e la sussistenza di un interesse al distacco del datore di lavoro distaccante.

L'interesse, che deve sussistere per tutta la durata del distacco, deve essere inteso in ampia accezione, risultando genuino il distacco che possa legittimare qualsivoglia interesse produttivo del distaccante e che non coincida con la mera somministrazione di lavoro.

Nella citata sentenza, gli Ermellini condividono le valutazioni della Corte, evidenziando che proprio le diverse mansioni assegnate, diverse da quelle espletate presso il distaccante, costituiscono un indice sintomatico del perseguito incremento della polivalenza professionale. In tal senso, ribadendo i principi già noti alla giurisprudenza ed alla dottrina prevalente, l'interesse del distacco può essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, ma di tipo solidaristico.

In ultimo, la Suprema Corte, essendo il caso riconducibile al comma 3, art. 30, Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 - distacco che comporti un mutamento di mansioni o il trasferimento ad una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito - afferma che la possibilità dell'interessato di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore della prestazione lavorativa è testualmente prevista esclusivamente per la violazione del comma 1 e non già del comma 3. Invero, atteso che la conclusione della domanda del lavoratore era incentrata sulla tutela ex art. 30, comma 1, Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e che le problematiche sul mutamento di mansioni e sul trasferimento oltre i 50 km risultavano indimostrate, contraddittorie e non supportate da allegazioni, i giudici di Piazza Cavour rigettano il ricorso con consequenziale condanna del ricorrente.

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