Dipendente rifiuta il trasferimento? Licenziamento illegittimo

Pubblicato il 29 aprile 2019

È illegittimo il licenziamento del dipendente che rifiuta il trasferimento della sede di lavoro, laddove sia stato imposto dal datore di lavoro senza alcuna motivazione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11180 del 23 aprile 2019. Nel caso di specie, i giudici evidenziano l’impossibilità per il datore di lavoro di adottare l’extrema ratio – dopo aver dimostrato materialmente di non poter diversamente ricollocare il dipendente - per il solo fatto che lo stesso si sia sottratto all’eventualità di prestare la propria attività lavorativa presso altra sede.

Trasferimento ingiustificato, rifiuto senza licenziamento

I giudici di legittimità, nel confermare la pronuncia della Corte d’Appello, hanno dichiarato che è illegittimo il licenziamento del dipendente che rifiuti di presentarsi presso la nuova sede lavorativa che le era stata assegnata dopo la comunicazione che non c’erano più posti disponibili nella sede originaria.

 

La decisione degli ermellini è sorretta dal fatto che il datore di lavoro non aveva fornito, le giuste prove le giustificazioni utili a sorreggere il trasferimento. Dunque, afferma la Suprema Corte, non è sufficiente a giustificare il licenziamento la semplice esibizione del tabulato con un elenco di Comuni privi di posti disponibili come stabilito dall’accordo sindacale.

Sul punto, i precedenti giurisprudenziali stabiliscono che “l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

In altri termini, la giustificazione alla base del trasferimento della sede di lavoro deve essere dimostrata nel concreto, e quindi da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, non potendosi ritenere le stesse già contenute nell’accordo sindacale. Nel caso di specie, infatti, gli ermellini hanno sottolineato che l’accordo sindacale conteneva solo le procedure da seguire nei “processi di riequilibrio dell’organico per gestire gli effetti delle riammissioni in servizio del personale già assunto con contratto a tempo determinato, limitandosi quindi a indicare le modalità di redistribuzione dei lavoratori in uffici ove la percentuale di personale stabile operante sulle zone di recapito non fosse superiore al 109 per cento”.

Tuttavia, mancando l’indicazione del numero dei posti in organico su cui considerare la predetta percentuale, non era possibile effettuare un positivo riscontro dell’indicata eccedenza. Di conseguenza, la documentazione prodotta dalla società non era idonea a dimostrare detta eccedentarietà dei Comuni nei quali, in base all’accordo sindacale, il dipendente avrebbe dovuto essere ricollocato una volta ripristinato il rapporto di lavoro.

 

 

 

Condividi l'articolo
Potrebbe interessarti anche

Processo civile: il correttivo alla Riforma Cartabia entra in vigore

25/11/2024

Testo unico rinnovabili 2024: novità e semplificazioni per l’energia verde in Italia

25/11/2024

Misura Marchi +2024, un giorno per la domanda

25/11/2024

Buoni pasto: tetto del 5% alle commissioni a carico degli esercenti

25/11/2024

Diritto di critica nell'ambito del rapporto di lavoro: entro quali limiti?

25/11/2024

Decreto flussi: alle Corti d'appello la convalida di trattenimento dei migranti

25/11/2024

Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".

Leggi informativa sulla privacy