Dipendente reintegrato con ripristino dell'originaria posizione di lavoro

Pubblicato il 06 giugno 2023

In due ultime sentenze, rispettivamente depositate il 5 giugno e il 25 maggio 2023, la Corte di cassazione si è espressa in materia di inadempimento del datore di lavoro rispetto all’ordine giudiziale di reintegrazione del dipendente illegittimamente licenziato.

Nelle citate decisioni, la Suprema corte ha inteso chiarire quando deve essere ritenuta legittima l’eccezione di inadempimento del lavoratore, consistente nel non presentarsi a lavoro.

Riammissione in servizio ma a tempo parziale? Illegittima

Nella vicenda oggetto della sentenza n. 15676 del 5 giugno 2023 - riguardante un lavoratore che era stato licenziato per non essersi presentato in servizio dopo aver ottenuto la reintegrazione nel posto di lavoro - gli Ermellini hanno giudicato corretta la pronuncia con cui la Corte d'appello aveva ritenuto sussistere il diritto del dipendente ad avvalersi della richiamata eccezione di inadempimento.

Questo, in considerazione della nullità del ripristino del rapporto di lavoro in una forma contrattuale non concordata dalle parti.

Il datore, ossia, nel riammettere in servizio il dipendente aveva disposto, unilateralmente, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Senza l'accordo scritto delle parti, infatti, l'unilaterale trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale è vietata dalla normativa.

Da qui l'enunciazione del principio di diritto secondo cui configura un inadempimento all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro - cui il lavoratore può opporre eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. - la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, disposta unilateralmente dal datore di lavoro.

L’ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di riammissione in servizio - ha spiegato, altresì, il Collegio di legittimità - implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell'attività lavorativa deve avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie.

Se ciò non avviene, si configura - salvo che non sussistano sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive - una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un'eccezione di inadempimento ai sensi del richiamato art. 1460 c.c., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti (per come anche ricordato anche nell'ordinanza di Cassazione n. 13655/2023).

Va motivato il trasferimento del lavoratore reintegrato  

Il medesimo principio è stato altrssì ribadito nell'ordinanza di Cassazione n. 14576 del 25 maggio 2023, avente ad oggetto il trasferimento di un lavoratore, adottato da una società a seguito dell'ordine, impartitogli giudizialmente, di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro.

Il reinserimento del lavoratore nell'attività lavorativa - si legge nella decisione - deve avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad un’altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Rimane fermo, in ogni caso, che laddove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l'onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato.

Egli, infatti, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, dovendo comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento di trasferimento.

Ebbene, nella specie, era corretta la decisione con cui la Corte di merito aveva accertato, con motivazione congrua e logica, la mancata dimostrazione, da parte del datore di lavoro, di effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive giustificanti il provvedimento di trasferimento.

Il trasferimento del lavoratore reintegrato, quindi, in assenza di motivazioni giustificative del cambio della sede lavorativa, era da ritenersi illegittimo.

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