Con nota del 17 marzo 2021 n. 441, l'Ispettorato nazionale del lavoro risponde a due quesiti pervenuti alla sede territoriale di Ancona. Più nel dettaglio, le questioni riguardano la possibilità di emettere una diffida accertativa per crediti patrimoniali:
1) per le differenze retributive maturate a seguito della riduzione dell’orario di lavoro decisa unilateralmente dal datore di lavoro, con conseguente decurtazione dello stipendio;
2) emessa, in caso di appalto di opere o di servizi, oltre il termine decadenziale di due anni stabilito per l'operatività del regime di responsabilità solidale di cui al comma 2 dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, se preceduta da un atto non tardivo di diffida stragiudiziale da parte del lavoratore.
L'art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004 prevede che il personale ispettivo possa diffidare il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti laddove nel corso dell'attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei lavoratori.
Non solo. Lo stesso decreto stabilisce che la diffida si applichi anche nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, solidalmente responsabili dei crediti accertati.
Veniamo alla prima questione sottoposta al parere dell'INL.
Il personale ispettivo può emettere una diffida accertativa per crediti patrimoniali derivanti dalle differenze retributive nei confronti del datore di lavoro che, unilateralmente e senza la necessaria forma scritta, riduce l’orario lavorativo ed il trattamento retributivo del dipendente, non consentendo allo stesso rendere la prestazione lavorativa ad orario pieno ricevendo quanto contrattualmente previsto?
Ad avviso dell'Ispettorato nazionale del lavoro no: i crediti vantati dal lavoratore nel caso di specie sono crediti di natura risarcitoria che esulano dall’ordinario ambito di applicazione della diffida accertativa. In tal caso infatti le differenze retributive richieste dal lavoratore non discendono direttamente dalla prestazione lavorativa, ma presuppongono un inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. del datore di lavoro, accertabile esclusivamente in sede giudiziale dall’autorità giudiziaria.
In tal senso anche il parere reso dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso con nota prot. n. 2110 del 15 marzo 2021.
A conforto della sua tesi, l'INL richiama gli insegnamenti della Corte di Cassazione (Cass. sent. 19 gennaio 2018, n. 1375) che, superando precedenti pronunce di segno contrario, ha affermato, che la trasformazione dell’orario di lavoro nell'ambito di un contratto di lavoro part-time necessita sempre di un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore, non assumendo valore probatorio il comportamento per facta concludentia.
Se il contratto è invece a tempo pieno, l’accordo di modifica dell’orario non richiede ex lege una forma scritta ad substantiam e può essere provato anche attraverso comportamenti concludenti.
Più complessa è la seconda questione riguardante l'ipotesi di un lavoratore che, per impedire la decadenza legale di cui al comma 2 dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, invia al committente, entro la scadere del previsto termine biennale, un atto di diffida stragiudiziale.
Si chiede all'Ispettorato nazionale del lavoro se, a seguito della notifica dell’atto di diffida stragiudiziale, è possibile emettere una diffida accertativa oltre il termine decadenziale.
Al riguardo l'INL richiama i chiarimenti forniti con le note n. 9943 del 19/11/2019 e n. 1107 dell’11/12/2020.
Nell’ambito della responsabilità solidale di cui all'art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, rileva l'Ispettorato citando quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, vi sono due regimi separati dei termini per il recupero delle spettanze retributive e contributive, definiti in base alla diversa natura del soggetto (privato o pubblico) che intraprende l’iniziativa.
Un primo regime riguarda l’azione del lavoratore che può chiedere congiuntamente, crediti retributivi e contributivi purchè agisca nel termine decadenziale di due anni dalla cessazione dell’appalto.
Il secondo regime, solo per la parte contributiva, riguarda l'azione di recupero dell’ente previdenziale soggetta all’ordinario termine prescrizionale di cinque anni.
Orbene se è certo che la decadenza è impedita dall’iniziativa del lavoratore intrapresa nel termine biennale attraverso il deposito del ricorso giudiziario ovvero per mezzo di un prodromico atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente, è anche vero che, ai sensi dell’art. 2967 c.c., “nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la prescrizione”. Pertanto, a seguito della notifica dell’atto in questione, il personale ispettivo potrà emanare la diffida accertativa purchè verifichi l’assenza di una intervenuta prescrizione e ferme restando le ordinarie condizioni di certezza, liquidità ed esigibilità del credito.
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