Nell’ambito di una controversia comunitaria riguardante il diritto di detrazione dell’Iva, viene chiesto alla Corte Ue di esprimersi sul fatto se sia conforme alla direttiva Iva una normativa nazionale per effetto della quale il termine previsto per detrarre l’imposta complementare decorra dall’emissione delle fatture iniziali, non dall’emissione o dalla ricezione dei documenti rettificativi.
La situazione studiata riguardava un venditore dei beni, soggetto passivo Iva, sottoposto a un’ispezione fiscale dalla quale era emerso che l’aliquota Iva applicata era inferiore a quella dovuta; ha pagato allo Stato l’imposta supplementare e ne ha poi chiesto il rimborso all’acquirente, anch’esso soggetto passivo Iva.
La Corte Ue, nella causa C-8/17, ricorda che costituisce un fondamentale principio dell’Unione comunitaria il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati. Questo, per sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le proprie attività economiche.
Tuttavia, l’esercizio di tale diritto richiede l’osservanza di requisiti o di condizioni sostanziali e formali.
Con riferimento alle modalità di esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva emerge che, sebbene il diritto a detrazione sorga contestualmente all’esigibilità dell’imposta, il suo esercizio è possibile, ai sensi dell’articolo 178 della direttiva Iva, solo dal momento in cui il soggetto passivo viene in possesso della fattura. Inoltre, il diritto a detrazione va esercitato nel momento in cui l’imposta diventa esigibile.
Nonostante questo, il soggetto passivo può essere autorizzato a operare la detrazione anche se non ha esercitato il proprio diritto nel periodo in cui questo è sorto, rispettando condizioni e modalità fissate dalle normative nazionali.
Gli Stati membri, quindi, possono stabilire altri obblighi che ritengano necessari per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva e per evitare le evasioni. Ma ciò non deve ledere il diritto alla detrazione Iva.
Poiché la negazione del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale suddetto, spetta alle amministrazioni finanziarie competenti dimostrare in termini giuridicamente validi la sussistenza degli elementi oggettivi che comprovano l’esistenza di un’evasione o di un abuso.
Nel caso trattato, l’acquirente era nell’impossibilità oggettiva di esercitare il proprio diritto a detrazione prima della regolarizzazione dell’Iva effettuata dal cedente, non disponendo dei documenti di rettifica delle fatture iniziali e non essendo a conoscenza del fatto che l’altro doveva dare un supplemento di Iva.
Non sussiste, pertanto, prova di negligenza anteriormente alla ricezione delle note di addebito e, in assenza di abuso o di collusione fraudolenta con la società venditrice, “non poteva essere validamente opposto all’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA un termine che sarebbe iniziato a decorrere dalla data di emissione delle fatture iniziali e che, per talune operazioni, sarebbe scaduto anteriormente a tale regolarizzazione”.
Osta, quindi, ai principi della direttiva Iva la normativa di uno Stato per la quale, nelle circostanze del caso trattato, il beneficio della detraibilità dell’Iva sia escluso, con la motivazione che il termine previsto dalla normativa medesima ai fini dell’esercizio di tale diritto sarebbe incominciato a decorrere dalla data di emissione delle dette fatture iniziali e sarebbe, quindi, scaduto.
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