Dequalificazione professionale, pregiudizio esente da imposizione fiscale

Pubblicato il 11 febbraio 2021

Il danno non patrimoniale alla professionalità è risarcibile ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore da accertarsi sulle reiterate situazioni di disagio professionale e personale accusate o sull'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze presentate dal lavoratore, anche a prescindere dallo specifico intento di dequalificarlo o svilirne i compiti. 

Il pregiudizio subito, nei termini risarcitori valutati dal giudicante, in conformità con il costante orientamento giurisprudenziale, ricade nel c.d. danno emergente e, come tale, è escluso da imposizione fiscale o contributiva.

Risarcimento del danno alla professionalità e trattamento fiscale

Con l'ordinanza 3 febbraio 2021, n. 2472, la Corte di Cassazione conferma la pronuncia della Corte di Appello di Roma, secondo cui il danno non patrimoniale alla professionalità e la sua consequenziale natura di danno emergente non determina che gli importi dovuti siano qualificabili come reddito ex art. 49, comma 1, TUIR.

In particolare, la ricorrente, denunciando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49, comma 1, e 6, comma 2, TUIR, riteneva che il danno da dequalificazione professionale era da ricondurre al c.d. lucro cessante e che, dunque, la somma liquidata era da assoggettare ad imposizione fiscale in quanto costituente una sostituzione o una surrogazione del mancato conseguimento di redditi della medesima natura.

Non entrando nel merito dei puntuali oneri probatori ricadenti in capo al ricorrente rispetto, non solo, all'effettiva condotta datoriale colpevole e produttiva di danni nella sfera giuridica del lavoratore, ma anche della connessione delle lesioni patrimoniali e non patrimoniali prodotte dalla condotta stessa - il prestatore di lavoro deve provare l'esistenza del danno, la natura e la caratteristiche del pregiudizio subito - nel predetto caso, la Corte, si sofferma sulla irrilevanza fiscale - e conseguentemente previdenziale - delle somme spettanti al prestatore di lavoro atte a reintegrare la perdita economica subita per mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore.

La questione della rilevanza fiscale e previdenziale delle somme erogate dal datore di lavoro nell'ambito dei rapporti di lavoro subordinato a titolo di risarcimento del danno o a titolo transattivo nelle conciliazioni di lavoro, trova spesso incertezze dovute alla corretta imputazione delle somme alla fattispecie del c.d. danno emergente o lucro cessante

Imposizione fiscale, danno emergente o lucro cessante?

Nelle controversie stragiudiziali in materia di lavoro capita sovente che le parti tentino la quantificazione di un danno da risarcire che può, o meno, essere assoggettato ad imposizione fiscale e contributiva.

La norma di riferimento è contenuta nell'art. 6, comma 2, TUIR, secondo cui "I proventi conseguiti in sostituzione di redditi (…) e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti" potendo affermare che la rilevanza fiscale sussiste solo nel caso in cui i redditi risarcitori derivino dal c.d. lucro cessante ovvero da quelle somme corrisposte a risarcimento del mancato guadagno ovvero di un danno futuro, anche riconducibile alla c.d. perdita di chance.

Il predetto lucro cessante è rinvenibile quando la somma corrisposta ha lo scopo di risarcire il mancato guadagno ovvero la perdita economica diretta subita in conseguenza di un illegittimo comportamento altrui.

In tale ipotesi, il ristoro, ai sensi del sopracitato art. 6, andrà assoggettato ad imposizione fiscale - e conseguentemente contributiva - secondo la categoria di reddito perduto o sostituito.  

Diversamente, ove le somme siano erogate a risarcimento di un danno emergente (es. danni morali, danni da dequalificazione professionale; danni esistenziali; danni biologici o alla salute; danni all'immagine, etc.), le stesse saranno escluse dall'applicazione del TUIR in quanto corrisposte al solo fine di reintegrare il patrimonio dalla perdita subita a causa della mancata o inesatta prestazione del debitore.

Nel medesimo senso si è espressa l'Agenzia delle Entrate nella Risoluzione 155/E del 27 maggio 2002, secondo cui, in tema di risarcimento erogato per indennizzare le perdite effettivamente subite (c.d. danno emergente) con chiara volontà di reintegrare il patrimonio del soggetto leso, la somma corrisposta non può intendersi sostitutiva o integrativa rispetto ad altri trattamenti retributivi e, come tale, non è concorrente alla formazione del reddito delle persone fisiche. 

Le transazioni di lavoro

Il concetto di danno emergente o di lucro cessante interessa, oltre alle predette ipotesi di risarcibilità del danno, anche per definire il trattamento fiscale e contributivo delle transazioni in ambito giuslavoristico.

Ai sensi dell'art. 1965, Codice Civile, la transazione è un contratto con il quale le parti, facendosi delle reciproche concessioni, prevengono o pongono fine ad una lite.

Altresì, ai sensi del comma 2, con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e/o della contestazione delle parti.

Tralasciando gli effetti di una transazione o di una rinuncia in una delle sedi di cui all'art. 2113, Cod. Civile, l'accordo transattivo può, dunque, essere semplice o novativo.

Nella prima ipotesi, in sede di conciliazione, le parti facendosi delle reciproche concessioni trovano un accordo avente ad oggetto uno o più titoli del contendere, ma senza sostituire il rapporto giuridico originario e la sua causa. A titolo esemplificativo e non esaustivo, potranno essere oggetto di una transazione semplice somme concordate per la quantificazione delle ore di lavoro straordinario effettuate e non retribuite, per il riconoscimento di livelli o qualifiche differenti, per rimborsi spese o trasferte non corrisposte.  

Nella seconda ipotesi, nella medesima sede conciliativa, le parti facendosi delle reciproche concessioni, trovano un accordo novativo, caratterizzato dalla sostituzione dell'obbligazione originaria con una nuova avente oggetto e titolo diverso.

Balza, dunque, evidente che, nell'ipotesi di transazione semplice la somma corrisposta segue pedissequamente le modalità di imposizione fiscale e contributiva corrispondenti al titolo originario.

Nelle transazioni novative, invece, la definizione di un nuovo negozio giuridico che sostituisce il precedente può prestarsi a condotte elusive più volte affrontate dalla prassi e dalla dottrina.

Premesso che per affermare di trovarsi innanzi ad una transazione novativa non è sufficiente affidarsi al nomen iuris dato dalle parti ovvero al mero disconoscimento di quanto vantato da ciascuno degli interessati, è bene sottolineare, sin da subito, che ai fini contributivi l'obbligazione raggiunta dalle parti nell'accordo novativo-transattivo non inficia il rapporto contributivo sulla quale andranno conteggiati gli oneri previdenziali. Sostanzialmente, i termini dell'accordo restano estranei rispetto alla possibilità dell'Ente di accertare i crediti di lavoro azionati dal dipendente e determinati secondo i parametri previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva o individuale.

Ciò assunto, anche le somme corrisposte a titolo di transazione novativa concorrono alla determinazione dell'imponibile fiscale e previdenziale. In particolare, come precisato dalla Circolare INPS 24 dicembre 1997, n. 263, le somme date per transazioni intervenute in relazione al rapporto di lavoro e nascenti da pretese vertenti su imponibili rientrano nell'imponibile contributivo. Anche per l'Amministrazione finanziaria rientrano nel reddito di lavoro dipendente "le somme ed i valori, comunque percepiti, a seguito di transazioni, anche novative, intervenute in costanza di rapporto di lavoro o alla cessazione dello stesso" (Circolare dell'Agenzia delle Entrate 23 dicembre 1997, n. 326/E/1997).

Dal punto di vista fiscale, la somma corrisposta a titolo transattivo va assoggettata all'aliquota ordinaria, salvo il caso in cui non venga erogata in occasione ed in correlazione con la cessazione del rapporto di lavoro (tassazione separata).

Descrizione

Imposizione contributiva

Imposizione fiscale

Risarcimento del danno per lucro cessante

Si

Tassazione ordinaria

Risarcimento del danno per danno emergente

No

No

Transazione semplice in costanza di rapporto di lavoro con somme a titolo retributivo riferite ad anni precedenti

Si

Tassazione separata

Transazione semplice in costanza di rapporto di lavoro con somme a titolo retributivo o per lucro cessante

Si

Tassazione ordinaria

Transazione semplice in connessione con la cessazione del rapporto di lavoro (lucro cessante)

Si, salvo incentivo all'esodo

Tassazione separata

Transazione novativa a titolo generale in costanza di rapporto o in connessione con la cessazione del rapporto di lavoro (lucro cessante)

Si, salvo che la somma transattiva sia slegata con il precedente rapporto giuridico.

Tassazione ordinaria, salvo che la somma a titolo transattivo abbia il solo scopo di prevenire una lite senza precedenti legami con il rapporto transatto (in tal caso tassazione a redditi diversi ex art. 67, TUIR).

 

 

QUADRO NORMATIVO

Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917

INPS - Circolare del 16 gennaio 2014, n. 6

Corte di Cassazione - Ordinanza n. 2472 del 3 febbraio 2021

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