ProfessionItaliane, l’Associazione che racchiude al proprio interno le rappresentanze professionali di CUP e RPT, chiede una normativa chiara ed inequivocabile in tema di equo compenso per i professionisti. Il principio dell’equo compenso, infatti, va esteso a tutte le realtà economiche e non limitato, come previsto dall’articolo 2 del Ddl AC 3179, solo alle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.
“Siamo molto soddisfatti dell’accelerazione che il Parlamento ha inteso dare ad un tema così sentito all’interno della comunità degli ordini professionali. La ripresa economica che si è innescata nelle ultime settimane, dopo un lungo periodo di crisi, rischia di creare degli effetti distorsivi del mercato a sfavore del professionista. Per questo motivo è quanto mai necessario e urgente un quadro di riferimento legislativo inequivocabile”, spiega Armando Zambrano, presidente di ProfessionItaliane.
Il Ddl 3179, dal titolo “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, definisce “equo compenso” la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti per tutti i professionisti.
Le disposizioni del Ddl si applicano ai rapporti professionali per lo svolgimento di attività professionali in favore di imprese bancarie e assicurative e delle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 60 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro, nonché alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e degli agenti della riscossione.
“Chiediamo al Parlamento”, afferma Marina Calderone, vicepresidente dell’associazione, “di calare questo provvedimento nella realtà del nostro Paese che non è quello preso in considerazione generalmente dalla legislazione europea”.
“L’arrivo in aula nei prossimi giorni di un testo unificato sull’equo compenso che mette insieme le proposte precedentemente formulate dagli onorevoli Meloni, Mandelli e Morrone è un’accelerazione importante che speriamo sia sintomatica di una reale e condivisa volontà politica di superare gli attuali limiti che caratterizzano la normativa”. È quanto dichiara il vicepresidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Giorgio Luchetta, che ribadisce la richiesta più volte avanzata dalla categoria di “superare la nozione di cliente forte e di ampliare l’applicazione della norma anche attraverso il riferimento a tipologie di accordo diverse dalle convenzioni unilateralmente predisposte. Così com’è oggi, la normativa vigente non è in grado di garantire una reale e concreta tutela dell’equità del compenso professionale”. Secondo Luchetta “serve un compenso minimo obbligatorio”.
Nel corso degli ultimi mesi, attraverso documenti e audizioni parlamentari, Il Consiglio nazionale della categoria si era più volte espresso sulla necessità di ampliare l’ambito applicativo delle disposizioni di tutela dell’equo compenso, indicando in particolare l’opportunità di estendere tale disciplina oggi vigente solo nella contrattazione massiva tra professionista e contraente forte, ossia banche e assicurazioni, ovvero tra professionista e Pubblica Amministrazione, anche a un qualsiasi accordo con un diverso cliente – committente, eliminando qualsiasi riferimento alla natura o alla dimensione di quest’ultimo. Secondo Luchetta, “nell’articolato che sarà a giorni in aula, l’estensione operata dall’art. 2 alle sole imprese che presentano importanti parametri dimensionali non appare significativo al fine di assicurare un’adeguata e concreta tutela dell’equo compenso dei professionisti, considerato che nel contesto italiano molte imprese di piccola e media dimensione risultano essere contraenti forti rispetto al professionista. Sarebbe pertanto auspicabile”, conclude, “prevedere che la disciplina venga estesa quantomeno a tutte le imprese, escludendo, dunque, dal suo ambito applicativo solo i soggetti individuati come consumatori”.
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