E’ diritto di ogni cittadino europeo richiedere all’autorità di controllo di uno Stato membro la verifica dell’adeguatezza del trattamento dei propri dati personali trasferiti all’estero.
E’ quanto si desume dalla sentenza del 6 ottobre 2015, pronunciata dalla Corte di giustizia europea relativamente alla causa n. C-362/14 in materia di protezione e trattamento dei dati personali e libera circolazione dei medesimi, e con cui è stata dichiarata l’invalidità della decisione della Commissione europea n. 2000/520 sulla base della quale il livello di protezione offerto dall'accordo commerciale Usa-Ue “Safe Harbour”, relativo al trasferimento di dati personali dal territorio europeo agli Stati Uniti, era stato ritenuto “adeguato”.
Per la Corte Ue, in particolare, l’articolo 25, paragrafo 6 della direttiva 95/46/CE sul trattamento dei dati personali, letto alla luce degli articoli 7,8 3 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione, deve essere interpretato nel senso che una decisione adottata a titolo di questa disposizione, come la decisione 2000/520/CE, non può essere di ostacolo a che un’autorità di controllo di uno Stato membro esamini la domanda di un cittadino relativa alla protezione dei suoi diritti e libertà rispetto al trattamento dei dati personali che sono stati trasferiti da uno Stato membro verso un paese terzo, qualora il ricorrente voglia contestare che il diritto e le prassi in vigore presso quest’ultimo non assicurino un livello di protezione adeguato.
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