La valutazione equitativa del danno non patrimoniale, va sempre ancorata a parametri obiettivi e verificabili, all'interno dei quali sussumere le circostanze del caso concreto.
E non basta il riferimento a qualsiasi parametro obiettivo ma, possibilmente, alle Tabelle di Milano, ove non sussistano motivi per discostarsene.
E' quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 20895 depositata il 15 ottobre 2015, in ordine ad una causa per risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un grave sinistro stradale, da cui era dipesa la morte di due minori.
In particolare la Cassazione ha contestato la statuizione dei giudici di merito, laddove non hanno adeguatamente differenziato le condizioni delle diverse parti attrici.
La sentenza impugnata, dunque, si traduce – a detta della Corte Suprema – in una violazione dell'art. 2056 c.c. poichè la motivazione non consente di comprendere la logica seguita dal giudice per addivenire alla quantificazione del danno, né permette di stabilire se e come, nella liquidazione, si sia tenuto conto della gravità del fatto, dell'entità delle relative sofferenze e dei turbamenti d'animo da ciascun attore patiti.
Ciò porta la Cassazione ad affermare, in linea generale, che non può considerarsi legittima la liquidazione del danno non patrimoniale facente riferimento - come nel caso di specie – al criterio equitativo "puro", svincolata cioè da qualsiasi parametro oggettivo, in quanto ciò non rende evidente e controllabile l'iter attraverso il quale il giudice sia giunto alla quantificazione.
Nè la fortuita riconducibilità - come nel caso de quo - degli importi liquidati nel range previsto per identici eventi lesivi dalle Tabelle di Milano (quale criterio favorito da cui discostarsi solo per giustificati motivi) , non assume alcun rilievo in tal senso, posto che trattasi di circostanza casuale e che, di fatto, dette tabelle non hanno trovato impiego.
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