Il Consiglio di Stato si è pronunciato in tema di danno da ritardo risarcibile al privato in conseguenza della condotta di una Pubblica amministrazione.
Secondo i giudici amministrativi, perché possa parlarsi di una condotta della Pubblica Amministrazione causativa di tale danno, occorre che esista, oltre alla concorrenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità ex articolo 2043 c.c., un obbligo dell’amministrazione di provvedere entro un termine definito dalla legge, a fronte di una fondata posizione di interesse legittimo ad ottenere il provvedimento tardivamente emanato.
Tale obbligo di provvedere sussiste, ai sensi del comma 1 dell’articolo 2, Legge n. 241/1990, qualora vi sia un obbligo di procedere entro un termine definito.
Così, in presenza dei suddetti presupposti, è possibile che il danno da ritardo, di cui all’articolo 2- bis della citata Legge, si configuri anche nei casi in cui il procedimento debba essere avviato di ufficio (e, dunque, vi sia l’obbligo di concluderlo).
Il Collegio, con sentenza n. 358 del 15 gennaio 2019, ha spiegato che questa ultima possibilità si desume, oltre che da ragionevoli argomentazioni di ordine generale, dalla evidente differenza letterale tra i primi due commi dell’articolo 2-bis, in quanto solo nel secondo di essi (comma 1-bis), ci si riferisce espressamente al procedimento ad istanza di parte.
In questo caso, tuttavia, occorre che vi siano:
una chiara previsione normativa di un termine per l’avvio e per la conclusione del procedimento;
l’esistenza di una posizione di interesse legittimo che, come tale, presuppone la natura provvedimentale dell’atto medesimo.
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