La distanza temporale tra i fatti ed il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità, sia in relazione alla scelta della misura.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, annullando il provvedimento con cui il Tribunale del riesame aveva confermato la custodia cautelare a carico di un imputato per traffico di stupefacenti.
Osserva in proposito il Supremo Collegio, come la motivazione addotta dai giudici del riesame in ordine all'attualità delle esigenze cautelari, risulti nel caso de quo decisamente generica ed insufficiente.
Invero, l’analisi degli elementi dai quali è stata desunta la concretezza del pericolo di recidiva, attribuisce un peso decisamente preponderante alla gravità del fatto ed alla pericolosità del suo autore, lasciando ben poco spazio alle valutazioni circa l’attualità del pericolo, affidate a considerazioni del tutto generiche ed astratte. Non viene dato alcun rilievo, in particolar modo, al fatto che a distanza di un anno e mezzo dai fatti contestati, l’imputato non risulta aver posto in essere ulteriori episodi delittuosi.
Eppure – conclude la Corte con sentenza n. 15924 del 18 aprile 2016 – il lungo tempo trascorso dalla commissione del reato, depone a favore della mancanza di occasioni prossime favorevoli alla sua reiterazione, che non può essere superata da considerazioni del tutto generiche, come quelle riportate nell'ordinanza impugnata.
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