Crisi d’impresa, confermata la competenza anche dei Consulenti del Lavoro

Pubblicato il 08 febbraio 2019

Consulenti del Lavoro inclusi tra i professionisti che possono iscriversi al nuovo Albo dei soggetti incaricati dall’autorità giudiziaria all’esercizio delle funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore nelle procedure di crisi e di insolvenza.

La conferma giunge direttamente dalle parole del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, in sede di interrogazione parlamentare n. 3-00576, del 7 febbraio 2019. Il dubbio nasce dalla circostanza che i Consulenti del Lavoro, all’esame di abilitazione alla professione, non affrontano le materie utili nel gestire la crisi d’impresa. Inoltre, i compiti di curatore, di commissario giudiziale e di liquidatore, richiedono competenze contabili e di gestione che non rientrano nell’ambito delle competenze tipiche di questa categoria professionale. Pertanto, ci si è chiesti se non fosse il caso di cambiarne l’esame di Stato, aggiungendo materie consone allo svolgimento dei predetti compiti (es. diritto fallimentare).

Crisi d’impresa, cosa dice il nuovo Codice?

L'art. 358 del Codice per la crisi di impresa e dell’insolvenza, che individua i “requisiti per la nomina agli incarichi nelle procedure”, dispone che: “possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore, commissario giudiziale e liquidatore, nelle procedure di cui al codice della crisi e dell'insolvenza gli iscritti agli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dei consulenti del lavoro”.

Inoltre, le funzioni di curatore, commissario e liquidatore è estesa anche alle società tra professionisti e agli studi professionali associati che siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge.

Vi rientrano, altresì, coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta, nei loro confronti, dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Per la nomina del curatore, del commissario giudiziale e del liquidatore, l'autorità giudiziaria dovrà tenere conto dell'esistenza di rapporti di lavoro subordinato in atto al momento dell'apertura della liquidazione giudiziale.

Crisi d’impresa, formazione ad hoc per i CdL

Sul punto, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha precisato che la crisi d’impresa “coinvolge rapporti di lavoro su cui si basa l’intera struttura aziendale” e che “l’imprenditore è anche un datore di lavoro”. Tra l’altro, i Consulenti possono già svolgere molte funzioni, tra cui:

e possono patrocinare vertenze davanti alle commissioni tributarie.

In ogni caso, l’iscrizione al nuovo Albo avverrà decorsi 18 mesi dall’entrata in vigore del Codice della Crisi. Nel frattempo, i Consulenti del Lavoro dovranno frequentare corsi ad hoc per prepararsi al meglio. La disciplina - spiega Alfonso Bonafede - ha solo allargato lo spettro delle professionalità. Inoltre, l’autorità giudiziaria ha il compito di scegliere il professionista più idoneo allo svolgimento delle funzioni nella specifica procedura.

A tal fine, bisogna considerare le risultanze dei rapporti riepilogativi periodici finali redatti dai soggetti incaricati e degli incaricati in corso.

Inoltre, la nomina deve essere eseguita rispettando i criteri di trasparenza e turnazione nella distribuzione, purché il professionista abbia maturato nel tempo le necessarie capacità e esperienze.

Crisi d’impresa, la posizione dei CdL

Il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro accoglie positivamente la risposta del ministro della Giustizia ed in un comunicato aggiunge che “per accedere al tirocinio professionale per svolgere la professione è necessario possedere la laurea in giurisprudenza, economia o scienze politiche”. Pertanto, le materie di gestione di crisi aziendale sono già proprie dei Consulenti del Lavoro. Infatti, l’esame di Stato contempla le materia giuridiche.

Viceversa, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNDCEC), in una nota ha evidenziato che i 18 mesi di formazione extra sono una stortura che “mina la tenuta stessa del sistema delle abilitazioni professionali, basate sul superamento di appositi esami di Stato che dividono e delimitano le competenze riconosciute a ciascuna professione ordinistica”.

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