La Consulta ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Genova relativamente alle disposizioni in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2 che hanno imposto l’obbligo vaccinale - pena la sospensione dall’albo - indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie diversi dagli operatori sanitari.
Questo, con particolare riferimento agli iscritti nell’albo dei Chimici e dei Fisici.
Il giudice rimettente, nel dettaglio, non metteva in discussione la sicurezza dei vaccini anti COVID-19 né la loro efficacia e utilità dal punto di vista epidemiologico bensì la dedotta irragionevolezza della scelta del legislatore di imporre la vaccinazione indistintamente a tutti gli esercenti le professioni sanitarie, senza alcuna considerazione delle specifiche tipologie di professione e dell’attività lavorativa in concreto svolta.
Con sentenza n. 185 del 5 ottobre 2023, i giudici costituzionali hanno ritenuto le questioni sollevate in parte infondate e in parte inammissibili.
Per la Consulta, in primo luogo, l’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie legislativamente predeterminate, gradualmente individuate, non può essere ritenuta irragionevole e lesiva dei parametri costituzionali di riferimento.
Tale scelta è stata fondata sulla significativa criticità della situazione sanitaria in atto, nella quale tutte le risorse, di personale e organizzative, dovevano essere finalizzate alla gestione dell’emergenza pandemica.
In maniera non irragionevole, ossia, il legislatore ha considerato che l’adozione di un sistema per categorie già predeterminate - grazie al suo carattere semplificato e automatico - consentisse di rimettere l’attività di accertamento e monitoraggio agli ordini professionali competenti e ai datori di lavoro, esonerando da tale impegnativo compito le aziende sanitarie locali, le regioni e le province autonome, inizialmente coinvolte in base all’originario impianto normativo.
La scelta dell’imposizione dell’obbligo vaccinale per categorie, inoltre, è stata considerata non sproporzionata.
Quanto detto, considerando la portata della conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale - rappresentata dalla sospensione del rapporto lavorativo, peraltro priva di conseguenze di tipo disciplinare - e la natura transitoria dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, correlata alla sua rigorosa modulazione in stretta connessione con l’andamento della situazione pandemica in corso.
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