Con la sentenza n. 21405 depositata il 15 settembre 2017, la Suprema Corte di Cassazione torna ad occuparsi – dopo un periodo di silenzio di oltre due anni e mezzo – della possibilità riconosciuta all'Amministrazione finanziaria di influenzare le strategie commerciali delle società.
In passato, vi erano stati diversi casi eclatanti, come quelli che vedevano riconosciuta la possibilità all'Agenzia delle Entrate di negare la deducibilità dei costi troppo alti (si veda il caso dei compensi degli amministratori). Ma, ora, l'orientamento giurisprudenziale sembra essere cambiato.
Con la nuova pronuncia n. 21405/2017, la Corte analizzando il caso di specie, nel quale l’Agenzia delle Entrate disconosceva ad una società la deducibilità di un cospicuo costo perché ritenuto antieconomico, respinge il ricorso dell'Amministrazione finanziaria e accoglie quello incidentale della società.
Specificano i Supremi giudici che: l’eventuale comportamento ritenuto antieconomico da parte dell’Ufficio delle Entrate non può essere sindacato in termini di indeducibilità di un costo, trattandosi di valutazioni riferite alla strategia commerciale di una società, che sono riservate all’esclusivo giudizio dell’imprenditore.
Quinidi, pur ribadendo il principio secondo cui i comportamenti antieconomici rappresentano elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che legittimano il recupero a tassazione dei relativi costi, la Corte specifica, ora, che l’Amministrazione finanziaria non può valutare anche la necessità o l’opportunità di tali costi rispetto all’oggetto dell’attività.
Pertanto, l'Agenzia può determinare l’indeducibilità di un costo, solo se sono evidenti altri elementi, che rivelano una finalità estranea alla gestione e che fanno desumere l’effettivo intento di evadere.
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