Con sentenza del 26 gennaio 2023, causa C‑205/21, la Corte di giustizia dell'Unione europea si è pronunciata sulla corretta interpretazione della direttiva (UE) n. 2016/680, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati.
Ciò, nell’ambito di un procedimento penale per frode fiscale avviato dalle autorità bulgare nei confronti di una donna, formalmente accusata di aver partecipato a un’organizzazione criminale costituita a fini di lucro, al fine di commettere in maniera concordata delitti nel territorio della Bulgaria.
La polizia bulgara, a seguito della formale imputazione, aveva invitato l'accusata a sottoporsi alla raccolta dei suoi dati dattiloscopici e fotografici, ai fini della loro registrazione, e a un prelievo di campioni per l’elaborazione del suo profilo del DNA.
Dopo che l'interessata si era opposta a tale raccolta, la polizia aveva chiesto al tribunale penale di autorizzare l'esecuzione coercitiva dei dati genetici e biometrici della donna, alla luce della normativa nazionale bulgara che prevedeva la "registrazione da parte della polizia" di persone formalmente accusate per un reato doloso perseguibile d’ufficio.
Il giudice, dubitando della compatibilità della predetta normativa alle norme unionali, aveva adito la Corte europea in via pregiudiziale.
La Corte Ue, nella sua sentenza, ha in primo luogo precisato a quali condizioni il trattamento dei dati biometrici e genetici da parte delle autorità di polizia può essere ritenuto autorizzato dal diritto nazionale.
Secondo i giudici europei, la corretta lettura della direttiva in parola prevede che il trattamento dei dati biometrici e genetici da parte delle autorità di polizia per le loro attività di ricerca, a fini di lotta contro la criminalità e di tutela dell’ordine pubblico, è autorizzato dal diritto nazionale se quest’ultimo contiene una base giuridica sufficientemente chiara e precisa per autorizzare detto trattamento.
A seguire, la medesima Corte ha ammesso la non contrarietà alle norme Ue di una normativa nazionale che preveda, in caso di rifiuto della persona formalmente accusata di cooperare spontaneamente alla raccolta dei dati, che il giudice penale competente autorizzi una misura di esecuzione coercitiva di tale raccolta, senza avere il potere di valutare se sussistano fondati motivi per ritenere che l’interessato abbia commesso il reato.
Questo, purché il diritto nazionale garantisca successivamente il controllo giurisdizionale effettivo delle condizioni della formale messa in stato di accusa, da cui risulta l’autorizzazione a procedere a tale raccolta.
Ciò che invece risulta contraria alle regole Ue è la previsione di una raccolta sistematica di dati biometrici e genetici di qualsiasi persona formalmente accusata di un reato doloso perseguibile d’ufficio, "senza prevedere l’obbligo, per l’autorità competente, di verificare e di dimostrare, da un lato, che tale raccolta è strettamente necessaria per il raggiungimento dei concreti obiettivi perseguiti e, dall’altro, che tali obiettivi non possono essere raggiunti mediante misure che costituiscono un’ingerenza meno grave nei diritti e nelle libertà della persona interessata".
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