La norma italiana sul pro rata per determinare l'Iva detraibile da parte delle imprese “miste”, ossia quelle che effettuano sia operazioni con diritto di detrazione sia operazioni esenti, è salva e non contrasta con la normativa dell'Unione Europea in materia di Imposta sul valore aggiunto.
Ciò, anche se si tratta di un meccanismo forfettario che può arrecare uno svantaggio al contribuente in termini di puntuale determinazione dell’ammontare dell’imposta detraibile.
A stabilirlo è stata la Corte di Giustizia Ue, con la sentenza del 14 dicembre 2016 relativa alla causa (C-378/15), che vedeva contrapposte l'Agenzia delle Entrate e Mercedes Benz Italia e che accoglie in pieno le tesi del Fisco italiano, disattendendo le conclusioni dell’avvocato generale presso la stesa Corte di Giustizia europea, il quale lo scorso mese di giugno aveva proposto l’illegittimità della norma e della prassi nazionale.
Si ricorda che la regola sul pro rata generale Iva previsto dalla legislazione nazionale prevede l'applicazione del criterio proporzionale su tutti gli acquisti di beni e servizi (cosiddetto pro rata generale) invece che solo su quelli utilizzati promiscuamente per effettuare entrambe le categorie di operazioni.
In altri termini, ai i contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo a detrazione sia attività esenti, la detrazione dell’Iva spetta in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno.
La controversia era scaturita nel corso di un accertamento - durante il quale l'Agenzia delle Entrate aveva operato un recupero Iva - nei confronti di Mercedes Benz, che nella propria dichiarazione Iva non aveva applicato il meccanismo del pro rata, ritenendo le proprie attività finanziarie esenti, in quanto relative ad operazioni (erogazione di finanziamenti alle società controllate) che erano da considerare accessorie rispetto alla propria attività imponibile e, dunque, da escludere dal denominatore di calcolo del pro rata di detraibilità.
Il dubbio del contribuente, che lo aveva portato ad escludere le operazioni finanziarie dal calcolo del pro rata, era quello di capire se, in virtù della norma comunitaria, il meccanismo forfettario dovesse essere riferito ai soli costi promiscui (operazioni imponibili o esenti) oppure a tutte le operazioni a prescindere dalla diretta riferibilità a queste ultime operazioni.
La Corte Europea parte dal considerare che la sesta direttiva prevede che i soggetti passivi hanno la possibilità di detrarre l’imposta assolta sugli acquisti di beni e servizi destinati ad essere utilizzati esclusivamente per le operazioni imponibili.
Questa previsione può essere, però, derogata dagli Stati membri in base ad un altro comma della stessa direttiva armonizzata; in particolare, l'Italia applica la disposizione che le permette di imporre ai contribuenti il calcolo del pro rata generale in relazione a tutte le attività siano esse imponibili o esenti, senza possibilità di distinzione.
Pertanto, il verdetto di non conformità della normativa italiana (che si attendeva) è stato capovolto per effetto di un ripensamento della Corte Ue, che ha riconosciuto che la disposizione della direttiva che consente l'adozione del pro rata generale si riferisce “al complesso dei beni e dei servizi utilizzati dal soggetto passivo al fine di realizzare tanto le operazioni che danno diritto a detrazione quanto quelle che non conferiscono tale diritto, senza che sia necessario che tali beni e servizi servano a effettuare sia l'uno sia l'altro tipo di operazioni”.
Ne consegue che il meccanismo italiano del pro rata generale risulta compatibile con le regole Ue, per cui sono da considerare legittime le norme per la detrazione in caso di operazioni imponibili ed esenti.
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