Italia limita gli indennizzi

Pubblicato il 13 aprile 2016

L'Avvocato generale della Corte di giustizia Ue, nella controverisa che vede schierata la Commissione europea contro la Repubblica italiana, ha aderito  alla posizione della prima, dichiarando come l'Italia, non avendo previsto un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio (ma soltanto di alcuni, come gli atti di terrorismo o i reati legati alla mafia), sia venuta meno all'obbligo ad essa incombente ai sensi dell’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato.  

Indennizzo per tutti i reati intenzionali e violenti

In base alla invocata direttiva, infatti, gli Stati membri devono aver previsto un sistema di diritto all'indennizzo per le vittime di tutti i reati intenzionali e violenti (e non soltanto di alcuni) commessi sul loro territorio e sanzionati dalle loro leggi nazionali, affinché, nel caso in cui un siffatto reato sia commesso in una situazione transfrontaliera, il suddetto sistema possa applicarsi in modo corretto ed efficace alle condizioni previste nella direttiva medesima.

Tale sistema di indennizzo trova il suo fondamento, ancor più che in una nozione di solidarietà, nell'idea secondo cui la commissione del reato e la realizzazione del danno da esso cagionato possono essere la conseguenza di una carenza da parte dello Stato nel suo ruolo di garante della sicurezza.

Singoli Stati fissano l’importo

Né siffatta interpretazione dell’art. 12 direttiva 2004/80 – secondo le conclusioni dell’avvocato generale depositate il 12 aprile 2016 nella causa C-601/14 – sconfina nel settore riservato ai singoli Stati, cui compete la sola fissazione dell’importo dell’indennizzo alla luce del pregiudizio subito o la fissazione di eventuali massimali (in misura tuttavia equa ed adeguata), nelle ipotesi in cui l’autore del reato sia sconosciuto o insolvente.

 

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