Confermata la contestazione per reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, a carico di un Direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate che – assieme ad alcuni consulenti professionisti parimenti imputati - si rendeva disponibile a definire la posizione tributaria di una società con una transazione ad essa decisamente favorevole (a scapito dei legittimi interessi dell’Erario). Imputazione per corruzione confermata anche se, nell'ambito dell’istruttoria per la suddetta transazione, la Direzione Provinciale di cui l’imputato era responsabile, aveva reso solo un parere tra l’altro non vincolante. A stabilirlo, la Corte di Cassazione, sesta sezione penale.
Integra il reato di corruzione - chiariscono con l’occasione gli Ermellini - la condotta del pubblico ufficiale che dietro elargizione di un indebito compenso, abbia esercitato i propri poteri discrezionali rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche se poi detto esito risulti coincidere “ex post” con l’interesse pubblico. In particolare – si legge ancora nella sentenza n. 39020 dell’8 agosto 2017 – il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio può essere integrato anche mediante (come nella specie) il rilascio di un parere non vincolante, allorché esso assuma rilevanza decisiva nella concatenazione degli atti che compongono la complessiva procedura amministrativa, e quindi, vada ad incidere sul contenuto dell’atto finale.
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