Il contratto d’opera professionale con la Pubblica amministrazione, anche nei casi in cui quest’ultima agisca iure privatorum, deve rivestire la forma scritta ad substantiam.
In particolare, ai fini dell’osservanza della forma scritta, è richiesta la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimere la volontà all’esterno, l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso.
Va escluso, in questo contesto, che la sussistenza di tale contratto si possa ricavare da altri atti - come ad esempio la delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico - ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell’accettazione da parte del professionista.
Inoltre, non basta che il medesimo professionista accetti, espressamente o tacitamente, la delibera a contrarre, in quanto quest’ultima, anche se sottoscritta dall’organo rappresentativo, resta un atto con rilevanza interna di natura autorizzatoria, revocabile ad nutum dall’ente.
Il contratto che manca del requisito della forma scritta è nullo e non suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, in quanto gli atti negoziali della PA constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti.
E’ quanto enunciato dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 11465 del 15 giugno 2020 e in accoglimento del ricorso di un ente comunale, oppostosi al decreto ingiuntivo ad esso notificato da parte di un professionista, un architetto, ai fini del pagamento di somme a titolo di compenso professionale.
Nell’opposizione, il Comune aveva chiesto la dichiarazione di nullità del contratto concluso con l’ingiungente, per assenza della forma scritta ad substantiam.
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