La Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, del Codice di procedura penale, sollevata dal Tribunale di Roma in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
La norma censurata contiene la disciplina, nell’ambito del processo penale, della “Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione”, prevedendo, al suo comma 1, che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne sia divenuta impossibile la ripetizione.
La disposizione è stata tacciata di incostituzionalità nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, venga data lettura anche delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato, dopo essere stato avvertito che su quelle implicanti la responsabilità di terzi egli potrà essere citato come “testimone assistito”.
Secondo il giudice rimettente, la previsione in oggetto, non ammettendo la lettura delle dichiarazioni appena menzionate, risulterebbe irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza, nonché in contrasto con i principi del giusto processo e della non dispersione dei mezzi di prova acquisiti per l’accertamento della verità processuale.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 218 del 20 ottobre 2020, ha ritenuto che la questione sollevata fosse fondata.
Dopo una sintetica ricostruzione del quadro normativo di rilievo, la Consulta ha indicato l’art. 512 cod. proc. pen.come norma di riferimento e residuale in tema di recupero degli atti a contenuto dichiarativo di cui sia impossibile la ripetizione in dibattimento per circostanze sopravvenute.
Proprio in considerazione di ciò, ha considerato irragionevole che tale disposizione non contemplasse anche le dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità dell’imputato, rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da un soggetto giudicato per reato collegato, il quale abbia poi assunto l’ufficio di testimone ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p.
Dato che dall’assunzione della qualità di testimone, all’atto della deposizione dibattimentale, discendono l’attribuzione dei relativi obblighi, nonché le modalità di escussione e i correlati adempimenti formali, si impone, nei confronti dello stesso soggetto, l’applicabilità del regime di acquisizione delle pregresse dichiarazioni di cui all’art. 512 cod. proc. pen., nei casi in cui la sua deposizione in dibattimento sia impedita da un’impossibilità sopravvenuta di ripetizione.
La mancata previsione, nell’attuale formulazione dell’articolo, di tale possibilità è stata quindi giudicata del tutto irragionevole e da qui la declaratoria di parziale illegittimità della norma censurata.
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