Consulta: per i reati sessuali la custodia cautelare non può essere l'unica misura applicabile
Pubblicato il 22 luglio 2010
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 265 del 21 luglio 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del Codice di procedura penale – così come modificato dal Decreto-legge n. 11/2009 contenente misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori - nella parte in cui prevede che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti sessuali, è applicata la custodia cautelare in carcere senza che venga data la possibilità al giudice, alla luce di “specifici elementi acquisiti”, di optare per un diverso tipo di misura cautelare.
Secondo la Consulta, la norma impugnata violerebbe la Costituzione con riferimento sia all’articolo 3, per ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti sessuali a quelli concernenti i delitti di mafia, sia all’articolo 13, “quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale”, sia, infine, all’articolo 27 in quanto attribuirebbe alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena. Non solo. La presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare carceraria - si legge nel testo della decisione – è costituzionalmente inaccettabile costituendo “una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del “minore sacrificio necessario”, anche quando sussistano – come nei casi oggetto dei procedimenti a quibus, secondo quanto riferiscono i giudici rimettenti – specifici elementi da cui desumere, in positivo, la sufficienza di misure diverse e meno rigorose della custodia in carcere”.