Qualora un ente pubblico affidi all'esterno i servizi legali in violazione delle procedure di legge, la confisca per equivalente non può essere disposta sull'intera parcella, ma occorre scorporare il valore delle prestazioni lecitamente eseguite dall'avvocato.
E’ quanto chiarito, in sintesi, dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, annullando il provvedimento di confisca disposto dal Gip a carico del Direttore di una società.
In particolare – ha enunciato la Corte – le incolpazioni ascritte nel caso di specie riguardano la prestazione di un servizio professionale stragiudiziale oggetto di affidamento diretto da parte dell’ente mediante collusione con privato, senza dare corso alla procedura di scelta del contraente prevista per legge, con maggiorazione degli importi costituenti corrispettivo mediante ampliamento dell’oggetto delle prestazioni e con imputazione di costi e spese sostenute dal professionista estranei all'attività espletata su incarico dell’ente.
Si tratta dunque di un tipico “reato in contratto”, viziato cioè nella fase preparatoria o di stipula, dunque annullabile, ma suscettibile di regolare e lecita esecuzione.
Ne deriva pertanto che nell'area del profitto confiscabile il decidente avrebbe dovuto escludere i compensi versati dall'ente a fronte del vantaggio tratto dall'adempimento delle prestazioni oggetto dei negozi, in quanto consistite in attività in effetti del tutto lecite e come tali remunerabili.
Ha errato dunque il Gip in relazione alle contestazioni de quibus – conclude la Corte con sentenza n. 8616 del 2 marzo 2016 - a ritenere assoggettabile a confisca l’intero valore dei contratti, dovendovi invece scorporare l’intero valore incamerato dal professionista a fronte delle prestazioni lecite svolte – cioè l’utilitas tratta dalla controparte – pur in esecuzione di negozi affetti da vizi relativi alla formazione della volontà contrattuale e dunque annullabili.
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