Confisca allargata, indicazioni dalla Cassazione

Pubblicato il 28 novembre 2017

La Corte di cassazione ha fornito alcune precisazioni in tema di “confisca allargata”, la misura, ossia, disciplinata dall’articolo 12 sexies del Decreto legge n. 306/1992 nei casi di condanna o di applicazione della pena ex articolo 444 C.p.p. per il delitto previsto dall’articolo 416 bis c.p. (associazione di tipo mafioso) e per altri gravi reati.

Con essa vengono confiscati i beni o le altre utilità di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.

Nella sentenza n. 53625 del 27 novembre 2017, in particolare, vengono richiamati alcuni principi di diritto in ordine alle distinte tipologie di confisca e ai relativi provvedimenti giurisdizionali di segno diverso per il medesimo proposto nonché alle modalità di accertamento del requisito della sproporzione reddituale al momento dell’acquisizione dei beni da sottoporre a confisca.

Confronto con confisca di prevenzione

In primo luogo, la confisca allargata – ha evidenziato la Corte richiamando precedenti pronunce di legittimità – presenta presupposti applicativi in parte coincidenti con la confisca di prevenzione, in quanto in entrambe è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dal medesimo o all’attività da lui esercitata. Tuttavia, solo per la confisca di prevenzione è possibile sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego.

Per entrambe le misure occorre la prova della disponibilità anche indiretta del bene in capo all’indagato/imputato/condannato e, nel caso in cui il bene che si assume illegittimamente acquisito risulti intestato a terzi o ai congiunti del condannato, occorre dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene.

L’organo giudicante, in dette ipotesi, è obbligato a spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, attraverso il riferimento non solo a circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma anche ad elementi fattuali caratterizzati da gravità, precisione e concordanza che possano costituire prova indiretta circa il superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene.

Prova per evitare il provvedimento ablatorio: non è necessaria una giustificazione qualificata

Rispetto, poi, alla prova liberatoria della lecita provenienza dei beni, la Suprema corte ha richiamato l’interpretazione ormai in via di consolidamento secondo la quale non è richiesta una giustificazione qualificata della legittima provenienza dei beni, bensì un’attendibile e circostanziata giustificazione che il giudice deve valutare nel concreto, secondo il principio della libertà di prova e del libero convincimento.

Sulla scorta di questi principi la Prima sezione penale di Cassazione ha annullato, con rinvio, un’ordinanza con cui era stata disposta, a carico di un uomo, condannato per usura, la confisca allargata di beni mobili e immobili riferibili alcuni direttamente allo stesso, altri ai suoi stretti congiunti, ritenuti intestatari formali dei medesimi.

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