In presenza di violazione di leggi tributarie provenienti dalla condotta illecita di professionisti incaricati, opera la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie, per omesso, insufficiente o ritardato versamento d’imposta. Ciò va interpretato nel senso che il contribuente può essere dichiarato non punibile se dimostra di aver fornito al professionista, denunciato alla magistratura, la provvista di quanto dovuto all’Erario e di aver controllato l’esatto adempimento del mandato.
In questo senso si pone la sentenza n. 21061 del 24 agosto 2018 della Corte di cassazione analizzando la controversia sorta a seguito dell’emissione di un accertamento dell’A.F. per il recupero Irpef della plusvalenza derivante da cessione di terreni edificabili, soggetta a tassazione separata, conseguente ad operazioni effettuate nell’anno 2001, non avendo il contribuente dichiarato tale reddito imponibile, e per il pagamento delle sanzioni.
L’accertato ha proposto ricorso evidenziando che, avendo presentato condono ai sensi della legge 289 del 2002, non poteva applicarsi al suo caso la proroga biennale per l’accertamento di cui all’art. 10 della suddetta legge. Ma il giudice di merito ha ricordato che i redditi a tassazione separata sono esclusi dalla operatività del condono, a meno che non sia stata presentata la dichiarazione integrativa di cui all’art. 8 della legge 289/2002. E' però risultato che tale dichiarazione integrativa non sia stata presentata dal contribuente. La cassazione ha confermato tale impostazione ed ha dichiarato che il termine per l’accertamento poteva essere raddoppiato per l’accertamento dei redditi a tassazione separata.
La sentenza n. 21061/2018 analizza poi il ricorso incidentale presentato dall’agenzia delle Entrate, per il quale il contribuente ha concorso colposamente all’illecito non esercitando la richiesta vigilanza sull’operato della commercialista, mancando di farsi consegnare l'attestazione di ricezione della dichiarazione dei redditi.
Non concorda su tale punto la Corte di cassazione. Infatti dagli atti del processo penale, prodotti in giudizio, emergono sufficienti elementi di prova che escludono il concorso del ricorrente con il commercialista infedele, che aveva presentato documentazione contraffatta al contribuente, per cui costui non poteva rendersi conto delle violazioni commesse dalla commercialista ai suoi danni.
Ricorda la Corte Suprema che in materia di violazioni di leggi tributarie, l’art. 1 della I. n. 423 del 1995 ammette la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie (per omesso, insufficiente o ritardato versamento d’imposta) qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, dei professionisti.
Ciò va letto nel senso che non solo in fase di riscossione ma anche in sede contenziosa la non punibilità del contribuente può emergere dalla prova, dallo stesso fornita, di aver dato al professionista incaricato, denunziato all’Autorità giudiziaria, la provvista di quanto dovuto all’Erario e di avere vigilato sul puntuale adempimento del mandato. Viene aggiunto che non è necessaria la presentazione dell’istanza di sospensione da parte del contribuente con allegazione della denuncia del reato all’Autorità giudiziaria.
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