Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso avanzato da un condominio contro il silenzio serbato dal Comune rispetto alla diffida che lo stesso aveva presentato per segnalare la realizzazione, da parte di alcuni condomini, di “numerose illiceità ed illegittimità” edilizie.
Queste erano consistite nell’accorpamento di quattro unità immobiliari al piano terra, incidente sui muri maestri dell’edificio, di proprietà condominiale e nel cambio di destinazione d’uso dei predetti locali da magazzini ad attività commerciali, senza alcun assenso o titolo autorizzativo.
Il ricorrente lamentava di aver chiesto all’Ente comunale di esercitare i suoi poteri di vigilanza e controllo su tali abusi, senza, tuttavia, aver ottenuto alcuna risposta.
Sul punto i giudici amministrativi hanno rammentato come il proprietario confinante, e tanto più il condominio avente sede nell’immobile interessato dai lavori, sia titolare di un interesse legittimo all'esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi da parte dell'organo preposto, e possa, quindi, ricorrere avverso l'inerzia dell'organo stesso alla repressione di tali illeciti.
Il Comune - si legge nella sentenza – “è tenuto, in ogni caso, a rispondere alla domanda con la quale i proprietari di terreni limitrofi a quello interessato da un abuso edilizio chiedono ad esso di adottare atti di accertamento delle violazioni ed i conseguenti provvedimenti repressivi e, ove sussistano le condizioni, anche ad adottare gli stessi”.
Alla luce di queste considerazioni, il Tar – sentenza n. 297 dell’11 gennaio 2018 - ha accolto il ricorso del condominio dichiarando, conseguentemente, l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune e l’esistenza di un preciso obbligo dell’amministrazione comunale di rispondere esplicitamente a tale istanza, portando a termine il procedimento e concludendolo, nel termine di 60 giorni, con un provvedimento espresso.
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