Commercialista condannato per concorso in falsa fatturazione

Pubblicato il 28 giugno 2019

Del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, può rispondere, in concorso con la società cliente, anche il commercialista che abbia agito a titolo di dolo eventuale.

Questo nell’ipotesi, ad esempio, in cui il professionista, pur a conoscenza della falsità dei documenti in considerazione di precedenti controlli della Guardia di Finanza, proceda comunque con la predisposizione e l’inoltro della dichiarazione fiscale.

E’ quanto riconosciuto dalla Corte di cassazione, nel testo della sentenza n. 28158 del 27 giugno 2019, con la quale ha confermato il concorso di un commercialista nel reato di falsa fatturazione contestato agli amministratori di una società, dal medesimo assistita.

Concorso nel reato di false fatture: modalità di partecipazione

Nel testo di questa decisione, i giudici di legittimità hanno fornito alcuni chiarimenti in ordine all’individuazione delle modalità di partecipazione concorsuale al reato contestato.

Facendo riferimento al costante orientamento della giurisprudenza di Cassazione, hanno sottolineato come il contributo causale del concorrente, nelle ipotesi come quella di specie, possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, non solo in caso di concorso morale ma anche di concorso materiale, fermo restando, in detti casi, l’obbligo del giudice di motivare sulla prova dell’esistenza della reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti.

Dolo eventuale come dolo specifico

Per quanto concerne, poi, il profilo della colpevolezza, gli Ermellini hanno ricordato come sia incontestato e condivisibile l’indirizzo secondo cui il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di falsa fatturazione è compatibile con il dolo eventuale, che si ravvisa nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte.

Professionista a conoscenza e coinvolto nelle pratiche illecite

Nel caso sottoposto all’esame della Suprema corte, i motivi di ricorso con cui il commercialista si era opposto alla condanna pronunciata, a suo carico, in sede di merito, sono stati ritenuti infondati.

Lo stesso aveva contestato l’affermazione della sua responsabilità penale nella parte relativa al contributo concorsuale e dell’elemento psicologico, deducendo che i dati richiamati come indicativi della sua colpevolezza nella falsità delle fatture, attenevano, in realtà, all’ordinario esercizio della sua attività professionale.

Di diverso avviso la Terza sezione penale, la quale ha inteso dare rilievo al fatto che il ricorrente era da ritenere perfettamente a conoscenza sia dell’omessa istituzione e tenuta della contabilità di magazzino, sia dell’irregolare tenuta del registro degli inventari.

Del resto - ha sottolineato la Corte - queste gravi violazioni erano state periodicamente segnalate dal collegio sindacale, con il quale egli era in continuo contatto e al quale, peraltro, forniva la documentazione.

A seguire, i giudici di Piazza Cavour hanno anche evidenziato le numerose conversazioni telefoniche intercettate che, sotto il profilo istruttorio, avevano confermato la consapevolezza e il coinvolgimento del ricorrente in ordine alle pratiche illecite.

Questo, senza contare che il commercialista aveva anche ammesso di aver predisposto ed inoltrato la dichiarazione fiscale utilizzando fatture per operazioni inesistenti concernenti elementi passivi fittizi, sebbene le conclamate modalità truffaldine di gestione contabile della società erano state acclarate, certificate e comunicate dalla Guardia di Finanza, attraverso una precedente verifica fiscale.

Condanna penale confermata

In definitiva, secondo la Cassazione, le conclusioni della sentenza impugnata erano da ritenersi immuni da vizi logici e giuridici in ordine alla sussistenza del contributo concorsuale e della colpevolezza del commercialista.

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