In materia di collocazione in prededuzione allo stato passivo del credito del professionista vantato per l’opera prestata per la presentazione della domanda di concordato preventivo in favore della società, poi fallita, si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza 27694 del 21 novembre 2017.
Sul punto i professionisti ricorrenti hanno trovato lo sbarramento del Tribunale, che ha escluso che i crediti potessero essere posti in prededuzione in quanto non risultava provata l’utilità per la procedura delle prestazioni in oggetto. Da qui, la presentazione del ricorso in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento della collocazione del credito privilegiato in prededuzione.
Nell’ordinanza, la Suprema Corte evidenzia come sia ormai consolidato l’orientamento secondo il quale sono da considerarsi prededucibili i crediti del professionista derivanti dall’attività di consulenza ed assistenza svolta nei confronti del debitore ammesso al concordato preventivo, per la redazione e presentazione della relativa domanda.
Infatti l’art. 111, comma 2 della legge fallimentare detta un precetto di carattere generale per incentivare il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, ponendo una eccezione al principio della par condicio creditorum, estendendo la prededuzione, in caso di fallimento, a tutti i crediti sorti in funzione di precedenti procedure concorsuali.
Fra tali crediti rientra sicuramente quello inerente l’opera svolta dal professionista senza che debba essere verificato il risultato delle prestazioni eseguite o l’utilità per la massa.
Si ribadisce, infine, che la funzionalità (o strumentalità) delle prestazioni va correlata alla procedura concorsuale per la quale esse sono svolte. Pertanto, aggiungono i giudici, ““non si vede dunque in qual modo possa escludersi, una volta che l’impresa sia stata ammessa al concordato, la funzionalità delle attività di assistenza e consulenza connesse alla presentazione della relativa domanda ed a sue successive integrazioni”.
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