Collaborazioni “resistenti”

Pubblicato il 21 febbraio 2006

Dall'analisi delle prime tre sentenze dei tribunali di Torino (5 aprile 2005), Ravenna (25 ottobre 2005) e Milano (10 novembre 2005), emerge la difficoltà di dimostrare la subordinazione con l'ingresso nell'ordinamento del contratto di lavoro a progetto, la nuova formula contrattuale prevista dall'articolo 61 del dlgs n. 276/2003, che in un solo caso il giudice ha convertito in rapporto di lavoro subordinato. I magistrati chiariscono, anzitutto, che la forma scritta del contratto è richiesta ad probationem, nel senso che, sì, la parte che intende sostenere l'esistenza del progetto ha l'onere di produrre il contratto, ma la sua esistenza può ben essere accertata dallo stesso giudice analizzando gli atti del processo. Ancora: non assume rilevo, sostengono le toghe, il richiamo puntuale nel contratto al "progetto", piuttosto che al "programma di lavoro". In ultima analisi, i giudici dei tribunali di Ravenna e Torino sostengono dover essere consentito al committente di dimostrare la bontà del rapporto di lavoro autonomo anche in assenza di un genuino progetto, pur se ciò rappresenterebbe una violazione al principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della nostra Carta fondamentale, potendo arrivare ad imporre le forti tutele del lavoro subordinato ad attività che non abbiano in alcun modo presentato le caratteristiche che le prescritte garanzie giustificano.

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