Cig in deroga e fallimento del datore di lavoro: TFR?

Pubblicato il 05 settembre 2022

Cassa integrazione in deroga: se il datore di lavoro fallisce, il dipendente non ha diritto ad essere ammesso allo stato passivo del credito per le quote di TFR maturate durante il periodo di integrazione salariale se il rapporto di lavoro sia cessato al suo termine.

Il diritto di ammissione al passivo, invece, spetta per le quote del periodo precedente trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro.

Così la Corte di cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 25847 del 1° settembre 2022, dopo aver puntualizzato che anche la Cassa integrazione in deroga (CIGD) rientra nella previsione del terzo comma dell’art. 2120 c.c., essendo un caso di sospensione totale o parziale per la quale è prevista l'integrazione salariale, nel senso di un periodo di assenza dal lavoro con diritto alla retribuzione, eventualmente soddisfatto in tutto o in parte in forma previdenziale, che figura come periodo di retribuzione normale, anche se la conservazione della retribuzione sia limitata a una aliquota percentuale di essa.

Rapporto cessato alla fine della Cigd? Integrazione salariale pagata dal Fondo Tesoreria

Il pagamento della CIGD - ha continuato la Suprema corte - spetta, laddove il lavoratore non sia rioccupato alla cessazione del periodo alle dipendenze del datore di lavoro, al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

Ne consegue che "in caso di fallimento del datore di lavoro, il dipendente non ha diritto all’ammissione allo stato passivo del credito per le quote di T.f.r. maturate in tale periodo, ma di quelle del periodo anteriore trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro".

Nella vicenda specificamente esaminata, una lavoratrice, dipendente di una società fallita, aveva fruito del periodo di integrazione salariale in deroga (CIGD).

Il rapporto di lavoro era cessato al termine di tale periodo, in quanto la donna era stata successivamente assunta da altra società, per effetto del trasferimento del ramo d’azienda cui era addetta, non essendo stata quindi rioccupata alle dipendenze della società datrice fallita.

Per gli Ermellini, ciò posto, la lavoratrice aveva diritto all’ammissione allo stato passivo di un credito, in via privilegiata, per le quote di TFR maturate anteriormente, in quanto trasferite al Fondo di Tesoreria e non essendo stato provato dalla curatela fallimentare il loro versamento da parte della datrice fallita, fino all’inizio del periodo di CIGD.

Per quanto riguardava, invece, le quote successivamente maturate fino alla fine del periodo di CIG, esse dovevano essere detratte dal credito, a titolo di TFR maturato in precedenza ed escluse dallo stato passivo del Fallimento, in quanto non a carico della società datrice di lavoro fallita, ma del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione.

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