Per la Suprema Corte di Cassazione, ordinanza n. 21699 del 6 settembre 1018, le buste paga anche se sottoscritte dal lavoratore con la formula "per ricevuta", costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna, ma non anche dell'effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l'assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l'insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte (ex multis: Cass. sentt. n. 7310/2001 e n. 13150/2016).
A tal proposito gli Ermellini hanno ritenuto di dover richiamare anche la sentenza della Cassazione n. 6267/1998 secondo cui la sottoscrizione "per ricevuta" opposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l'effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 c.c. e seguenti e la sentenza n. 245/2006 secondo cui soltanto la sottoscrizione apposta dal dipendente sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato - CUD e mod. 101 - costituisce quietanza degli importi ivi indicati come corrisposti da parte del datore di lavoro, ed ha il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dell'esattezza dei dati ivi riportati.
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