Il c.d. Decreto Ristori (D.L. n. 137 del 28 ottobre 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 28 ottobre 2020) blocca nuovamente i licenziamenti economici.
Il blocco già in vigore dal 17 marzo 2020, viene prorogato fino al 31 gennaio 2021.
Nello specifico il Decreto precisa che il divieto di licenziamenti economici o per giustificato motivo oggettivo in generale è prorogato fino al 31 gennaio 2021, data entro la quale è precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo.
Tutti i lavoratori dipendenti sono, quindi, tutelati dai licenziamenti che trovano il loro fondamento in ragioni di natura oggettiva ed economica, del tutto estranee alla condotta tenuta dal dipendente stesso.
La norma compensa con ammortizzatori sociali emergenziali ed è definita come “parziale” in quanto, a fronte di un divieto che si estende fino al 31 gennaio 2021, mette in campo solo sei nuove settimane di ammortizzatore, decorrenti dal 16 novembre 2020.
Sono, tuttavia, fatti salvi casi eccezionali ovvero le ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo (a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento della NASpI).
Sono, altresì, esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.
Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Resta, invece, consentito alle aziende licenziare per ragioni inerenti specifiche condotte del dipendente come i c.d. licenziamenti disciplinari ed il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Allo stesso modo, è consentito alle aziende in questa fase procedere ai licenziamenti per il mancato superamento del periodo di prova oppure per il superamento del periodo di comporto (nell’ambito del quale – ha precisato il Ministero del Lavoro – non va inclusa l’assenza da lavoro causa COVID-19).
Alla luce di questa ennesima proroga, fortemente voluta dai Sindacati, ci si chiede se questa misura possa, in effetti, avere una qualche utilità per i lavoratori stessi.
A parere di chi scrive occorre distinguere a seconda che ci si trovi dinanzi a posti di lavoro che stanno attraversando un periodo di crisi, dai posti di lavoro che, domani, dopo l’emergenza coronavirus, spariranno.
Davanti a posti di lavoro che, oggettivamente, non ci sono più, bisognerebbe avere più coraggio e permettere alle aziende di licenziare tali prestatori di lavoro i quali, invece di illudersi che tutto torni come prima, potrebbero accedere alla NASpI – magari rivista o allungata come qualcuno auspica.
La NASpI potrebbe, in effetti, diventare una misura di politica attiva interessante, capace di dare ai lavoratori il tempo di capire veramente cosa sta accadendo e dargli gli strumenti utili ad attivarsi nella ricerca di un nuovo lavoro.
In effetti l’emergenza COVID-19 non sembra aver creato solo difficoltà occupazionale ma sembra aver modificato i vecchi modelli di business, rendendo necessaria una profonda riorganizzazione e ristrutturazione delle imprese.
A quanto sopra si deve aggiungere, comunque, anche il rischio di incostituzionalità del divieto di licenziamento da più parti paventato, e precisamente dell’art. 41 Cost. che assicura, invece, la libertà dell’impresa.
D’altra parte per trovare un precedente blocco della libertà di organizzazione dell’impresa bisogna risalire al Decreto Legislativo Luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 523 che previde, per l’appunto, un divieto di licenziare i lavoratori dipendenti fino al 30 settembre 1945.
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