Bene espropriato per pubblica utilità. Usucapito, se resta inutilizzato

Pubblicato il 29 agosto 2017

Non è escluso che un privato possa usucapire un bene oggetto di espropriazione da parte del Comune, qualora al decreto espropriativo non sia seguita, da parte dell’Ente pubblico, né la materiale occupazione, né l’immissione in possesso, né la realizzazione delle opere programmate.

Così, la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ha accolto le ragioni di un privato, che aveva acquistato un terreno dai proprietari espropriati. Al fine di ricostruire l’originaria unità fondiaria, il ricorrente aveva dapprima avanzato domanda di retrocessione del terreno e della baracca esistente sullo stesso; domanda tuttavia non accolta dal Comune. Aveva poi tentato la strada dell’usucapione, anche qui, con domanda respinta in sede d’Appello. Secondo la Corte distrettuale, difatti, si trattava di beni che ricadevano in zone con vincolo archeologico e paesaggistico, con conseguente preclusione della possibilità di usucapire, essendo privo di effetto l’eventuale possesso di cose di cui non si può acquistare la proprietà.

Collocazione in area di interesse archeologico. Non preclude di per sé l’usucapione

Occorre verificare la concreta destinazione pubblica del bene

Argomentazione tuttavia non condivisa dalla Corte Suprema, secondo cui – con ordinanza n. 20442 del 28 agosto 2017 - il fatto che un bene ricada in un’area di interesse archeologico, non implica, per ciò solo, che sia esso stesso di interesse archeologico. I Giudici di merito, in altre parole, hanno omesso di verificare – al di là della classificazione della zona – se il Comune abbia esercitato, sulle particelle interessate, un’effettiva attività di possesso e se il bene in questione potesse essere identificato quale avente una concreta destinazione a pubblica funzione. Ciò che giustifica il rinvio, per gli omessi accertamenti, ad altra sezione della Corte d’Appello.

 

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