Perché un amministratore di una società sia condannato per bancarotta, non è sufficiente una rettifica contabile sul bilancio, ma occorrono accertamenti di fatto concernenti la mancanza vera e propria dei beni. E’ quanto, in sintesi, affermato dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale, accogliendo la tesi dell’amministratore di una s.r.l. dichiarata fallita, condannato per bancarotta fraudolenta, per aver occultato delle giacenze di merci dei magazzini, come risultante da alcune rettifiche di valore iscritte a bilancio.
Secondo la Corte Suprema, in particolare, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione e dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita, può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni. Tuttavia detto orientamento presuppone il dato fisico della mancanza dei beni, in assenza del quale nemmeno può prospettarsi la loro distrazione, il loro occultamento, ossia la conservazione aliunde del possesso in modo segreto e clandestino.
In altri termini – si legge nella sentenza n. 49507 del 27 ottobre 2017 - è senz’altro astrattamente possibile che un imprenditore o un amministratore societario distragga beni dell’impresa mascherando la loro sparizione con un artificio contabile o una rettifica del valore iscritto al bilancio. Ma la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata – come avvenuto nella specie – sic et simpliciter dalla solo circostanza dell’esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni.
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