Il rappresentante di una società dichiarata fallita può evitare la condanna penale per bancarotta, reintegrando il patrimonio societario sino alla data di dichiarazione di fallimento.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, accogliendo le ragione del presidente di cda di una s.p.a. dichiarata fallita, ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 216 R.d. 267/1942 per aver distratto degli importi di finanziamenti erogati ad altre società partecipate.
L’imprenditore tuttavia – avverso la propria condanna – affermava di aver reintegrato il patrimonio sociale mediante pagamenti e compensazioni con crediti anteriormente il fallimento.
Restituzioni che, secondo la Corte territoriale, sarebbero state tuttavia inidonee ad elidere la distrazione – dunque ad evitare la bancarotta - in quanto intervenute in epoca in cui si era già manifestato il dissesto della società.
Ma la Cassazione, con sentenza n. 4790 depositata il 5 febbraio 2016, contrasta tale argomentazione, ove cioè si presuppone l’individuazione del dissesto societario – in alternativa alla dichiarazione di fallimento – come limite di efficacia alla restituzione, ai fini della ravvisabilità della condizione di irrilevanza penale della condotta in esame.
Siffatta conclusione contrasta infatti – secondo gli ermellini – con la funzione che deve essere attribuita alla dichiarazione di fallimento, rispetto all'offesa tipica del reato di bancarotta, identificando nella pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento il momento entro il quale la reintegrazione del patrimonio di impresa è ancora in grado di eliminare anche la sola potenzialità del danno per i creditori.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".